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Medicina di genere

Medicina di genere

Parliamo di bioetica - “le donne sono curate meno bene; [...] per le case produttrici di farmaci, reclutare uomini per la sperimentazione è più economico”

Fabbri Alessandra Martedi, 16/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

Salute non significa semplicemente assenza di malattia o di infermità, ma un totale benessere fisico, mentale e sociale. È possibile per la donna acquisire o avvicinarsi ad uno stato di benessere considerata la posizione di svantaggio in cui si trova, anche riguardo alla tutela della salute? Svantaggio causato essenzialmente dalla non considerazione della differenza.

Tutti riconoscono le differenze tra i due sessi, ma in pratica pochi le prendono in seria considerazione. In medicina l’importanza della differenza è sottovalutata e nonostante la crescente consapevolezza dei pericoli di una medicina neutrale che fatica a mettere in pratica l’equità tra i sessi, gli argomenti scelti, i metodi utilizzati e la successiva analisi dei dati riflettono ancora una prospettiva maschile. Il pregiudizio di genere è evidente non solo nella scelta dei temi, ma anche nel disegno di molte ricerche. Nei casi in cui le stesse malattie colpiscono uomini e donne, molti ricercatori hanno ignorato le possibili differenze tra i sessi per quanto riguarda gli indicatori diagnostici, i sintomi, le prognosi e l’efficacia relativa di trattamenti differenti. Fin quando i ricercatori considereranno gli uomini come la norma, la cura medica offerta alle donne continuerà ad essere compromessa.

Il risultato è che le donne sono curate meno bene, in primis, perché per lo sviluppo di studi clinici di nuovi farmaci sono stati sempre scelti soggetti adulti di sesso maschile. Non si hanno perciò informazioni direttamente rilevabili da studi precoci su tossicità, dosaggi e interazioni, relative specificatamente al sesso femminile e, data la non disaggregazione dei dati per sesso, anche all’interno di studi clinici a cui le donne partecipano in maniera sufficiente, sfuggono le reali caratteristiche di efficacia, tempi, modi e insorgenza di effetti avversi nella pratica clinica, che caratterizzano spesso risposte differenti nei due sessi. I fruitori dei farmaci sembrano essere solo uomini, in realtà le donne, vivendo mediamente più a lungo degli uomini, hanno una morbilità maggiore, si ammalano di più e più spesso e, mostrando più attenzione alla cura di sé, ricorrono maggiormente alla cure mediche.

“Sebbene le donne siano le maggiori consumatrici di farmaci, la sperimentazione tende a non tenere in sufficiente considerazione la loro specificità e il cambiamento delle condizioni di salute femminile con il conseguente incremento di effetti collaterali”.

Questo è quanto scrive il COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA nel parere “La sperimentazione farmacologica sulle donne” approvato nel novembre 2008. Il documento, a partire dall’analisi dei dati sulla sperimentazione clinica relativa alle donne, sottolinea la sottorappresentatività nell’arruolamento e la mancata elaborazione differenziata dei risultati, riferendosi in particolare alle patologie non specificatamente femminili; depressione, cancro e malattie cardiovascolari riguardano sia uomini che donne, ma non con la stessa modalità. Nella maggior parte delle sperimentazioni non è riconosciuta una differenza tra maschi e femmine al momento dell’arruolamento e dell’analisi dei dati. Il dosaggio dei farmaci è in genere misurato sugli uomini e la donna sembra essere solo una “variazione” del modello maschile, ma la differenza di peso oltre la differenza morfologica e fisiologica determina una notevole diversità nell’assorbimento nella distribuzione, nella metabolizzazione e nell’eliminazione del farmaco: c’è inoltre una differente risposta del corpo ad una certa concentrazione del farmaco nel sangue e nel tessuto. Insomma ormai si conosce la differente risposta ai farmaci, ma se non muteranno i protocolli di sperimentazione, uomini e donne continueranno ad essere arruolati senza distinzione e conseguentemente l’analisi dei dati continuerà ad essere indifferenziata. La sottorappresentazione del genere femminile nelle sperimentazioni è maggiore nelle fasi precoci della ricerca; questo oltre a impedire di misurare la reale efficacia del farmaco sulle donne, potrebbe anche avere impedito l’identificazione di specifici farmaci per loro.

Perché le sperimentazioni cliniche sono effettuate prevalentemente sugli uomini? Ci sono diverse cause: le donne hanno difficoltà ad entrare negli studi clinici per mancanza di tempo, per basso reddito, ma anche per la scarsa attenzione dei reclutatori alle necessità pratiche e psicologiche delle donne. In realtà, per le case produttrici di farmaci, reclutare gli uomini è più economico: non c’è né gravidanza, né variazione ormonale che possa interferire con i risultati. L’investimento ‘di genere’ sembra poco redditizio, ma potrebbe costituire un investimento mirato dato che sono le donne, è bene ricordarlo, ad essere le maggiori consumatrici di farmaco

Il parere sopra citato approvato dal COMITATO NAZIONALE DELLA BIOETICA è significativo proprio perché riporta l’attenzione pubblica su un argomento spesso sottovalutato. In particolare, il Comitato dopo aver presentato in maniera esaustiva i pericoli di una medicina “neutrale”, focalizzato l’attenzione sulle conseguenze del misconoscimento della specificità femminile, discusso le problematiche etiche e analizzato le normativi nazionali e internazionali sull’argomento, mette in luce alcuni elementi di rilevanza bioetica per la promozione della ‘salute differenziata della donna’: “incrementare la sperimentazione farmacologia differenziata per sesso incentivando progetti di ricerca sull’argomento; promuovere la partecipazione delle donne ai trials clinici con un’adeguata informazione sull’importanza sociale della sperimentazione femminile; garantire una maggiore presenza delle donne come sperimentatori e come componenti dei Comitati etici; sollecitare una formazione sanitaria attenta alla dimensione femminile nell’ambito della sperimentazione farmacologia, oltre che della ricerca e della cura; incrementare una cooperazione internazionale, oltre che nazionale e locale, con attenzione alla condizione femminile nell’ambito della sperimentazione clinica” . Indicazioni essenziali per attuare una “pratica del riconoscimento della differenza e dell’equità”.



*Alessandra Fabbri

Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org



(16 giugno 2009)

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