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Medical Humanities

Medical Humanities

Parliamo di Bioetica - Tra medicina e letteratura, un incontro indispensabile

Alessandra Fabbri Sabato, 30/08/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2014

La disciplina delle medical humanities nasce in America sul finire degli anni ’60 del secolo scorso dall’esigenza di arricchire gli studi nelle scienze mediche con le discipline umanistiche e si sviluppa negli anni ’80 in stretta relazione con la bioetica. Le medical humanities guardano alla tutela e alla cura della salute come responsabilità collettiva chiamando in causa i sistemi politici di welfare state e il rapporto costi/benefici/benessere; riguardano quindi l’intero panorama dei problemi antropologici inerenti la cura e la salute. Ragionano non solo sulle finalità della scienza, sulla formazione e l’esercizio della professione di tutti i protagonisti dell’ambito della ricerca e dell’assistenza sanitaria, ma anche sul ruolo e i compiti di chi organizza il sistema e gli strumenti utili alla tutela della salute. Praticare la medicina narrativa non significa solo ascoltare delle storie, ma attribuire a esse un significato e avere la capacità di rispondere narrativamente a tali racconti, interpretando le informazioni in relazione al contesto esistenziale e storico-sociale della persona. Nello specifico quali ruoli e quale importanza hanno le medical humanities in un curriculum medico?
Per trovare una risposta bisogna riflettere sul modo di considerare la medicina: gli antropologi e psichiatri Arthur kleinman e Byron Good considerano la medicina come un sistema culturale, ovvero un insieme di significati simbolici che modellano sia la realtà "clinica" sia l'esperienza che ne fa il soggetto malato. Il riferimento teorico fondamentale per comprendere la medicina narrativa e il suo approccio è riconducibile proprio alla definizione di "malattia".



Kleinman opera un distinguo tra tre piani di significato a essa associati, resi in inglese da tre parole differenti:



disease, ovvero la malattia intesa in senso biomedico come lesione organica o aggressione da parte di agenti esterni, evento oggettivabile e misurabile mediante una serie di parametri organici di natura fisico-chimica (temperatura del corpo, etc.);

illness, corrispondente all'esperienza soggettiva dello star male vissuta dal soggetto malato sulla base della sua percezione soggettiva del malessere, sempre culturalmente mediata;

sickness, termine riferito al il significato "sociale" dello star male.



La medicina basata sulla narrazione apre una riflessione sull'opportunità di curare la malattia intesa non solo come "disease", ma anche come "illness" e come "sickness", rispondendo alla necessità di guardare a essa e alla sua irruzione nella vita della persona, così come alla “presa in carico” del malato da parte del medico e/o della struttura sanitaria, come a qualcosa di assai più complesso di un insieme di visite specialistiche, esami diagnostici e interventi di vario genere. Il punto di vista della medicina narrativa è concentrato sulla persona, su quella particolare persona malata, caratterizzata da una storia individuale originale e unica, da una rete di relazioni sociali e da un contesto di vita ben precisi, da una maggiore o minore capacità di reagire alla sofferenza, causata dalla malattia. A tal proposito è importante ricordare che ammalarsi non significa soltanto soffrire fisicamente e assistere alla trasformazione del proprio corpo, ma anche essere costretti a un’esistenza “diversa” che coinvolge e, spesso limita il proprio lavoro e le proprie priorità, le amicizie, gli affetti. In sintesi, la propria vita e la propria identità. Non a caso, la malattia grave e invalidante è stata definita come una "rottura biografica" Una frattura nella trama esistenziale individuale, un evento inatteso, che rompe la quotidianità e al quale si fatica ad attribuire un senso. La narrazione, in forma orale o scritta, può offrire uno strumento prezioso per riconoscere significati in questa esperienza traumatica e facilitare la ricostruire delle nuove identità che ne scaturiscono. Narrare l'esperienza di malattia è una strategia che può aiutare il malato a "rimettere insieme i pezzi", le parti di quel sé che la malattia ha prepotentemente frammentato Questo atto narrativo, dalle preziose potenzialità terapeutiche, è reso possibile non soltanto dal soggetto che vive e racconta la malattia, ma anche dall'interlocutore che lo ascolta: il medico, lo specialista o l'operatore. Un medico che, abbandonata non certo la competenza scientifica, ma “l’iperspecializzazione” e “ipertecnologizzazione” sappia non solo e non più soltanto auscultare, ma ascoltare il “paziente”; un personale terapeutico che, anche attraverso la narrazione, conosce il malato, lo affianca in un percorso terapeutico non solo curando il parte malata, ma “prendendosi cura” della persona.



Si è riscontrato che l’utilizzo della medicina narrativa nella pratica narrativa apporta parecchi benefici, in sintesi:



• migliora le relazioni tra paziente, famiglia, medici e personale sanitari

• favorisce una diagnosi più approfondita

• migliora la strategia di cura

• riduce la sofferenza

• favorisce una migliore aderenza alla terapia

• verifica e permette un feedback ampio sull'aderenza e la funzionalità della terapia

• migliora la qualità del servizio, reale e percepita

• aiuta e consolida le scelte

• fornisce materiale utile da analizzare per nuove strategie di cura

• favorisce la formazione di comunità che aiutano il paziente a livello sociale, psicologico, etc.

• offre benefici per i malati cronici



In conclusione, come sottolinea efficacemente Sandro Spinsanti nell’introduzione del volume “Medicina e Letteratura”: “Le medical humanities non vogliono né umanizzare la sanità né rendere i professionisti delle sanità più ‘umani’, ma si propongono di ricondurre la pratica delle sanità alle sue finalità originarie: essere medicina per l’uomo. Esse grazie al loro approccio multidisciplinare, intendono fornire alla medicina e a tutti i soggetti coinvolti nel processo di cura gli strumenti necessari per comprendere tanto le malattie quanto la salute in un contesto sociale e culturale sempre più esteso, al fine di favorire una maggiore comprensione empatica di sé, dell’altro e del processo terapeutico”.













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