"...Colpisce, guardando i suoi lavori, come la forma del piede di una donna, dipinta a diciotto anni, rimandi alle forme delle sue odierne sculture e installazioni ..."
Nel 2009 ho scritto, per il sito d’arte di donne Oltreluna, curato dalle artiste Marilde Magni e Nadia Magnabosco, un testo sull’artista Mavi Ferrando. Recentemente ho pensato di riprenderlo aggiornandolo all’oggi.
Mavi Ferrando è nata a Genova e, da bambina, ha cominciato a praticare arte, lavorando con il traforo e acquisendo poi, da ragazza, competenza e saperi anche attraverso la frequenza del Liceo Artistico prima e di Architettura poi, trasferendosi a Milano nel 1965 dopo il primo biennio della facoltà.
L'artista ha iniziato a lavorare per vivere, una volta terminati gli studi, nel campo dell'architettura, sempre in collaborazione con altri e per tempi limitati (quasi una cococo ante litteram) per garantirsi la possibilità di continuare l'attività artistica.
Pittrice, negli anni '80 dipingeva su forme ritagliate, in una ricerca che ha sempre proseguito sul rapporto pieno - vuoto, prediligendo forme tondeggianti, caratteristiche del femminile, salvo che per un breve periodo "spigoloso", frutto dei tempi.
Colpisce, guardando i suoi lavori, come la forma del piede di una donna, dipinta a diciotto anni, rimandi alle forme delle sue odierne sculture e installazioni, forme che, naturalmente, si ritrovano anche nei suoi schizzi. Mavi Ferrando disegna molto, al tratto, su qualsiasi foglio bianco le capiti sotto mano, strutturando le forme curvilinee all'interno di semplici rettangoli che ne delimitano i confini. I suoi schizzi, chiari, puliti, privi di ripensamenti, quasi le forme le uscissero istintivamente dalla protuberanza matita prolungamento della mano. Raramente qualche annotazione, misure o elenco di materiali necessari, accompagna il disegno o la quantità di disegni sul foglio.
"Come è avvenuto il passaggio dalla pittura alla scultura?" chiedo.
Mavi sostiene che, talvolta, la casualità comporta modifiche od opportunità e ricorda le caratteristiche dei due suoi studi più importanti. Quello di Vermezzo, luminosissimo, in posizione meravigliosa, con un lavandino accanto alla finestra, la situazione ideale per la pittura. Quello attuale, a Valle Lomellina, con la possibilità di usare materiali recuperati, legno e ferro in grande quantità e ampi spazi che permettono la realizzazione di sculture e installazioni anche di notevoli dimensioni.
Il legno, il ferro, materiali naturali che Mavi ama sia per il calore che per la possibilità di autonomia di lavoro; un'autonomia che l'artista ha sempre ricercato, utilizzando, anche da ragazza, materiali quali creta, plastilina, gesso; materiali che le permettessero di condurre l'opera dall'inizio alla fine, senza bisogno di rivolgersi ad altre persone. Può sembrare strano pensare al ferro come un materiale duttile, Mavi ne parla come di un materiale che le piace, che ama, perchè "si può ammorbidire limandolo". Si sente, nel suo dire, una forma di piacevolezza, quasi di affetto per questo materiale primordiale, che colpisce e commuove.
"Come lavora, oggi, Mavi Ferrando?""Parto sempre dagli schizzi "mi risponde" ho mazzi di fogli che non butto". Dagli schizzi (una fascinazione queste pagine disegnate! Meriterebbero una mostra in sé o, quanto meno, una pubblicazione) Mavi parte per riportare le sue forme su legno, talvolta dipinto e più spesso lasciato grezzo. Forme ora femminili, ora animali che, sospese a pallet (recuperati) o sostenute dai tubi (recuperati) dei ponteggi, danzano rincorrendosi o siedono immote.
Ho in mente, oltre agli animali fantastici e agli opulenti corpi femminili che ricordano le antiche dee madri, due serpentiformi che mi rimandano a Meret Oppenheim.
L'artista surrealista riteneva che le donne dovessero rivedere il rapporto con il serpente perchè, sosteneva, era stato il serpente ad offrire ad Eva il frutto dell'albero della conoscenza, quindi il sapere femminile deve gratitudine a questo animale. Mi piace immaginare che le due forme di serpenti realizzate da Mavi Ferrando costituiscano da una parte un simbolico della relazione duale e dall'altra una sorta di ringraziamento ad un animale che ha offerto alla madre di tutte e di tutti la conoscenza. E per fortuna Eva ha mangiato il frutto proibito.
Ricordo di aver chiesto, tempo addietro, a Mavi se fosse andata a smontare una sua installazione realizzata per Ambientare l'arte, una rassegna da me curata per la Provincia di Milano, per la quale avevo chiesto ad artiste ed artisti di realizzare opere in materiali ecocompatibili da inserire nelle oasi del Parco Sud nel territorio milanese. Mavi mi assicurò di aver ritirato l'opera e aggiunse che i suoi personaggi "avrebbero voluto restare lì, nell'oasi, perchè vi si trovavano bene".
Effettivamente le forme tondeggianti in legno trovano la loro più idonea collocazione se inserite nell'ambiente circostante; rivedendo le immagini delle opere di Mavi Ferrando per preparare questo testo ho avuto chiaro il fatto che esse riescono a stare nella natura in perfetta armonia, come se fossero state pensate esattamente in rapporto con essa, sapendo con essa tessere un dialogo fecondo per le une e per l'altra. Apprezzo molto in Mavi Ferrando anche la volontà e la capacità di relazionarsi con altre artiste e artisti nelle installazioni collettive che vengono da lei proposte ed esposte, una volta all'anno, in dicembre, alla galleria Quintocortile.
Mavi elaborava delle forme in legno che consegnava in numero di due a una ventina tra artiste ed artisti, invitandoli ad intervenire con le proprie modalità su entrambe le sagome. Ciascuna, ciascuno realizzava il suo lavoro e veniva composta un'installazione collettiva; al termine della mostra le due opere realizzate, firmate da ciascuna e ciascuno, restavano una proprietà di Mavi e l'altra dell'artista che sulle sue forme era intervenuta.
Una volontà e una capacità di relazione e di scambio esplicitate in altre situazioni. L’associazione Quintocortile, curata da Donatella Airoldi e da Mavi Ferrnado, ha infatti organizzato diversi incontri di Artepoesia sia nello spazio in Col di Lana che in quello successivo, in viale Bligny 42.
Una quantità di ritratti che, a partire dal sé, dalla propria individualità, esplicitano un ‘NOI’ riconoscibile come una comunità di artiste e di artisti, critiche e critici, poete e poeti che hanno potuto esprimersi, rapportarsi e, in diversi casi, costruire relazioni significative grazie alle capacità e volontà di Donatella e di Mavi e al loro credere fortemente nella possibilità politica di uno spazio aperto e fuori dal mercato. Mavi Ferrando sta realizzando dei video – memoria delle attività svolte. Assistere alla proiezione di essi permette, oltre alla piacevolezza di ricordare attraverso la vista, di rendersi conto di quanto lavoro, di quanto sapere e di quanto saper fare siano stati costruiti in questo luogo. Neanche la pandemia ha fermato l’attività di scambio e di elaborazione. Sono state infatti organizzate mostre virtuali che hanno permesso di mantenere legami anche durante i lunghi periodi di isolamento.
Apprezzo molto il lavoro svolto da Mavi sia a livello sociale che individuale. Il suo lavoro artistico segue un filo di ricerca e di elaborazione di cui si possono seguire le tracce nel fare dell’artista, un’artista che, ho scoperto recentemente, sa collegare anche la musica all’arte. Personalmente adoro le sue opere che rimandano a spartiti musicali, trovo affascinanti le forme che si fanno scrittura asemica e che, pur nella bidimensionalità, offrono la terza dimensione attraverso la poesia delle ombre.
Al termine di questo lungo testo credo che sia corretto e opportuno lasciare la parola a Mavi per quanto riguarda la lettura delle sue opere più recenti
‘Se negli anni settanta realizzavo opere con una forte valenza provocatoria e contestataria, con un linguaggio post-pop e neobarocco ma rimanendo comunque succube dell’astrattismo geometrismo imperante, per cui tutte le opere erano simmetriche e ogni elemento era rigorosamente inserito in una griglia progettuale, quello che faccio oggi si è quasi completamente liberato da quelle briglie. Realizzo sculture molto disegnate e poco volumetriche; il volume è dato dai rapporti tra gli elementi, con l’ambiente, la massa è assente, la forma ne ha sempre il sopravvento, soprattutto come perimetro. Aggettivi sono surreale, ironico, grottesco, gioco, tragedia, catarsi. Oggi la derivazione dall’oggetto d’uso che usavo nelle prime sculture è praticamente scomparsa, semmai è ricomparsa la matrice monumentale figurativa di un tempo. Oggi mi permetto tutto quello che mi pare significante, alle forme astratte affianco figure con due gambe, due braccia, un tronco e una testa, mi permetto di accostare, capovolgere, collegare, mi permetto di creare situazioni complesse anche installative con la commistione di elementi espressamente creati e elementi riciclati, mi permetto e basta.
Poi rifletto e mi sembra che in tutti questi anni ogni opera che ho realizzato non sia altro che la variazione e combinazione infinita di due o tre momenti dei primi passi che ho fatto nel mondo dell’arte. In alcuni quadri che ho fatto a sedici anni ci sono delle forme che ho ripetuto quasi identiche in mille situazioni diverse. Ma questo l’ho capito soltanto da poco.Forse è questa monomania, paranoia, che ha indirizzato tutta la mia vita con le sue scelte lavorative, affettive, abitative. Mi si apparenta ad Arp, ai futuristi, ma i miei antenati amati sono Piero della Francesca, Henry Moore, Michelangelo e poi tutto ciò che ho visto e vissuto nella vita’.
E, a questa artista, a questa donna che sa di sé e delle relazioni politiche tra donne, io, a diversi anni di distanza, mi permetto ancora di accostare Meret Oppenheim e il suo pensiero ‘era stato il serpente ad offrire ad Eva il frutto dell'albero della conoscenza, quindi il sapere femminile deve gratitudine a questo animale’. Così come, in quanto donne, dobbiamo gratitudine a chi ci ha insegnato la lingua, le madri, e a chi ci ha insegnato la scrittura e la matematica, le maestre, e a chi ci permette di far conoscere il nostro agire e praticare arte. E da relazione nasce relazione come da cosa nasce cosa. E andiamo avanti.
Ciao Mavi. Grazie.
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