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Maternità tra rischi e responsabilità

Maternità tra rischi e responsabilità

Sondaggio di aprile - “sono una precaria di 33 anni. Come posso avere un figlio se non so neppure se il mese prossimo avrò il lavoro?”

Rosa M. Amorevole Lunedi, 17/05/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2010

Italia: domenica 9 maggio 2010, Festa della Mamma. Negli Stati Uniti nel 1914 venne istituito il Mother’s Day, festa nazionale per riflettere sulla guerra; da lì si diffuse in tutto il mondo, anche se si festeggia in giorni diversi. Nel nostro paese la prima volta venne celebrata nel 1957 ad Assisi; da allora ricorre la seconda domenica di maggio. In realtà è una festa antichissima, di origine pagana, che celebrava la prosperità, la fertilità e il passaggio dall’inverno all’estate.

Quindi: maggio, momento per riflettere con il nostro sondaggio sul tema della maternità. Percorso naturale o percorso a rischio? Per il 34% la maternità “andrebbe vissuta in modo naturale” così come per un ulteriore 34% il “fare indagini prenatali permette di affrontare la gravidanza con più sicurezza”. C’è poi chi sostiene che “la maternità di per sé è un’incognita” (16%), o che “troppe indagini prenatali inducano ansia” (9%) e che così facendo si rischi di trasformarla “in una malattia” (6%). La platea delle risposte si divide tra chi sostiene che nelle donne sia innato il senso della maternità e chi invece nega tutto ciò affermando di aver imparato nel tempo, giorno dopo giorno.

“La scienza non riuscirà mai a controllare completamente vita e morte”, quel che viene richiesto alla medicina è di fare il massimo per garantire la salute del nascituro, anche se nessuna tecnica medica riuscirà mai a garantire assenza di rischi. La percezione del rischio appare molto “soggettiva”, mentre la “consapevolezza della propria responsabilità primaria nella scelta” è ampiamente condivisa. Nel rapporto con le tecniche poi, le risposte valorizzano un buon uso della tecnica, purché mirino “ad aiutarci a prevenire, lasciando in capo a me la decisione”.

Maternità e lavoro, un binomio possibile? Di molte la consapevolezza delle difficoltà e la percezione che possa divenire impossibile di fronte alla “misoginia verso le lavoratrici-madri”, all’impresa che “preferisce i maschi”, o in caso di “mancata condivisione con il partner dei compiti di cura” o di “una rete familiare di sostegno”. Le strategie che le risposte suggeriscono alle organizzazioni aziendali sono molte: dalla messa a disposizione di servizi (anche di nidi aziendali), orari flessibili e part time verticali nei primi anni di vita del/della bambino/a, congedi obbligatori per i padri, telelavoro. Ed ancora: diversità nel management, valutazione delle competenze, capacità di innovazione da parte delle imprese e – perché no – “puntare sulle donne ultraquarantenni con figli grandi”. Sicuramente una maggiore “sensibilità da parte di imprenditori e imprenditrici”.

Che il binomio si manifesti spesso impossibile lo dimostrano molti dei rapporti di studio che periodicamente leggiamo: secondo Manageritalia (2010) un terzo delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità. Secondo Isfol in Italia il tasso di abbandono dopo la nascita è del 27,1% (2009). In tutti i paesi europei l’occupazione delle neo-mamme mostra un percorso a U: forte discesa nei primi tre anni e graduale ritorno in seguito. In Italia, ma anche in Spagna e Grecia, il tasso di occupazione continua a scendere al crescere dell’età dei figli. Per Banca d’Italia (2009) fino ai 2/3 delle neomamme abbandona volontariamente il lavoro per problemi di conciliazione. Tale valore si dimezza nei territori con maggiore disponibilità di servizi o di reti parentali. L’uscita dal mercato del lavoro è maggiore per le più giovani e per le meno istruite. Triplica per le lavoratrici a tempo determinato nel periodo di concepimento. Diminuisce nel settore pubblico, con grandi differenze con quanto avviene nel privato (soprattutto nei settori del commercio e dei servizi). Per le manager si arresta la possibilità di carriera (Manageritalia 2008).

Non basta dunque la Festa della Mamma che lavora! Tale ricorrenza, che cade nel mese di maggio, è nata con l’obiettivo di aprire per un giorno i posti di lavoro ai/alle figli/e delle lavoratrici perché vedano dove la mamma lavora e affinché i datori di lavoro percepiscano le loro collaboratrici anche come madri. E cosa dire di fronte a queste righe di una nostra lettrice: “sono una precaria di 33 anni. Come posso avere un figlio se non so neppure se il mese prossimo avrò il lavoro?”



(17 maggio 2010)

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