Classi dirigenti / 1 - "Il sistema deve essere elastico e umile. Missione impossibile senza le donne". Intervista a Nadia Urbinati
Bartolini Tiziana Domenica, 01/09/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2013
“Preferisco parlare di gruppi dirigenti, piuttosto che di classi dirigenti, che in una democrazia moderna hanno specifiche responsabilità in relazione alle diverse funzioni svolte nella società”. Nadia Urbinati, politologa e Docente di Scienze Politiche alla Columbia University, esprime il punto di vista di chi osserva la realtà da una prospettiva socio-politica. “Le competenze dei gruppi dirigenti in una democrazia non generano poteri insindacabili o immodificabili; comprendere le mutazioni o affidarsi alla logica dell’alternanza a seguito di processi selettivi sono alcuni dei caratteri peculiari della democrazia. Nessuna funzione di potere è inamovibile; ogni funzione è controllata, monitorata e giudicata. Sostanzialmente vi è una permanente diffidenza verso il potere, perché vi è una permanente attenzione ad impedire derive aristocratiche e oligarchiche. In questa cornice penso che sarebbe interessante inserire il discorso femminile, cioè valutare il contributo delle donne a questa organizzazione della politica e della società”.
Le donne italiane hanno raggiunto livelli di preparazione più che adeguati a ricoprire ruoli in cui si compiono scelte di indirizzo. Ma alle aumentate presenze femminili nei luoghi decisionali non corrispondono, necessariamente, strategie diverse da quelle degli uomini. Concorda?
Si tratta di un tema spinoso ed interessante. È ormai un dato di fatto che le donne hanno grande visibilità sociale e ricoprono ruoli di responsabilità nelle professioni e nel lavoro anche se in Italia - e non solo in Italia - si deve ricorrere a sistemi di quote per affermare il riconoscimento e le loro competenze nelle funzioni dirigenziali. Molti uomini ritengono che questa gratificazione sociale sia sufficiente per le donne le quali, dicono, non sono in fondo interessate più di tanto alla politica. Questo può indurre qualcuno a pensare che nella divisione del lavoro gli uomini fanno la politica e le donne fanno le altre cose. È questo un discorso pericolosissimo, che viola il principio dell’apertura delle competenze al concorso di tutti. Altro discorso, poi, riguarda il tempo necessario alle donne per acquisire con il potere politico una dimestichezza tale da poterlo anche usare in una maniera diversa dagli uomini, a parità di ruolo.
Ma secondo lei esiste un modo diverso di gestire il potere tra un uomo e una donna?
Per me l’importante è che ci sia l’opportunità aperta, poi discutiamo delle forme. Personalmente non ritengo che necessariamente avere una donna al potere corrisponda alla creazione di politiche più vicine alle donne. Questo perché le donne, come gli uomini, hanno idee diverse tra loro. Quindi votare una donna non significa votare per qualcosa che è specifico nei contenuti o nella qualità. È vero che ci sono temi gravi o particolari, quali la violenza o le discriminazioni, che sono universali e in cui tutte le donne si ritrovano anche se in modo diverso, ma non possiamo stabilire un’equazione rigida tra le donne e un certo sentire o determinate opinioni. Quello che è importante, a mio parere, è che, quale che sia la posizione che le donne hanno dal punto di vista ideologico, devono avere le stesse opportunità che hanno gli uomini di poterle esprimere e rappresentare nelle assemblee elettive. Poi possiamo discutere sulle ideologie, ma teniamo conto che le politiche sono legate ad un ordine sociale, di mercato e capitalistico. Un ordine che non consente molti spazi per cammini diversi. O si esce dal sistema e si cambia l’ordine del pensiero, oppure dobbiamo essere consapevoli che all’interno di questo sistema ci possono essere differenze di dosaggi, possono essere modulate diversamente le attenzioni alla giustizia sociale, si possono scegliere le priorità.
Insomma lei pensa che le rivendicazioni in relazione alla differenza di genere siano imprescindibili dalla struttura della società, che detta le regole di riferimento…
Per me l’ideologia di classe è determinante - lo scontro tra oligarchia e democrazia ne è il segno. E le donne devono tenerne conto.
C’è da chiedersi se vale la pena fare tanta fatica, come movimenti femminili, per aumentare la presenza delle donne nei luoghi dei poteri…
Ritengo sia pericoloso legare la presenza delle donne ad un contenuto o ad un obiettivo, perché se quel certo obiettivo non si raggiunge o non è efficace come preconizzato è lo stesso ingresso delle donne in politica a perdere di valore. Il principio sarebbe condizionato alla conseguenza. Invece è fondamentale che le donne ci siano a dispetto degli scopi o del loro raggiungimento. Non possiamo legare al risultato ottenuto un valore fondamentale come l’inclusione o l’uguaglianza politica o l’opportunità di partecipare alle decisioni. Va considerato che la rappresentanza è un istituto molto simbolico e molto forte: si deve poter vedere da fuori…. Per cui non avere donne in Parlamento, o averne poche salta, all’occhio come segno di una debolezza di legittimità del Parlamento democratico. L’eguaglianza di opportunità di partecipazione (anche nelle liste) è un fatto importante in sé.
Non le sembra che viviamo una situazione in cui i gruppi dirigenti sembrano incapaci di individuare risposte adeguate alle problematiche del presente, o di indicare possibili strade da percorrere?
Il problema è serissimo. Il pregiudizio maschile è sempre presente ed è evidente il permanere di una resistenza a considerare la donna come una cittadina e pertanto pienamente e potenzialmente capace di governare processi e situazioni. Questo è il segno di un gruppo dirigente ottuso, che si mostra aperto solo perché burocraticamente glielo impone magari il partito di riferimento. Si tratta di un fenomeno generale e non legato ad un gruppo politico, che cresce soprattutto nei momenti di crisi come questo, quando le risorse si fanno scarse e sembra che i ranghi debbano essere serrati e tutto debba essere dettato dalla logica della necessità per andare dritto all’esito. Ne è esempio classico il dirigismo dei governi cosiddetti tecnici, che guardano alla rappresentanza femminile come ad una questione secondaria, e così facendo sbagliano.
Lei conosce il mondo anglosassone, vede differenza nella loro classe dirigente rispetto alla nostra?
La realtà anglosassone non è unica, ci sono molte differenze tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e va anche detto che in generale non c’è una situazione armonica. Comunque sia non si può generalizzare. Proporrei di situare le differenza tra il nostro e quel mondo nella sensibilità politica, sensibilità di cui difettano i nostri politici (come si vede anche dall’uso incredibilmente facile di espressioni razziste). Anche i più giovani non si muovono in modo tanto diverso rispetto ai più adulti e non mostrano particolare sensibilità su questi temi. Con tutta questa attenzione ai giovani in politica passa in secondo piano il fatto che le donne continuano a fare la questua. Per loro c’è sempre solo l’elemosina - nonostante le generazioni cambino. Non si comprende che si tiene in congelamento un enorme potenziale creativo e di ricchezza per il Paese. O le nostre società sono talmente ricche da potersi permettere di vivere senza il contributo delle donne, oppure chi le governa è veramente improvvido, quando non stupido. Di fatto mette a repentaglio la possibilità di una società con più opportunità per tutti e tutte.
Quindi gruppi dirigenti maschili e chiusi, impermeabili e miopi. Un bel quadro… e intanto la locomotiva è fuori controllo e il macchinista non sa che fare per riprendere il comando. Che ne dice?
Appunto perché nessuno ha idee chiare su come dare un corso comprensibile a questo andare, siccome non c’è un radar che indichi la via, o la via più sicura, è necessario che uomini e donne, insieme, mettano in campo tutte le conoscenze e le ricette. C’è bisogno di mettere in campo tutte le diversità perché nei mondi complessi sono più efficaci i contributi delle diversità rispetto alle visioni dogmatiche: molti occhi vedono meglio che pochi. Ecco perché i liberisti sono ciechi, perché hanno una unica visione e non sono disposti a vedere e considerare altro, non ritengono di dover apprendere o considerare possibili cambiamenti di stili di vita. È necessario, al contrario, un sistema elastico abbastanza e umile abbastanza da prendere le conoscenze dove queste sono. Ed è questo che le donne in politica riescono a mostrare, perché la loro diversità è, da sola, una testimonianza del fatto che il diverso è la sorgente di esperienze più funzionali alla comprensione dei processi complessi. Indipendentemente da quello che le donne vogliono, già solo la ricchezza che esse rappresentano è utile.
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