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Martina Levato e la decisione del Tribunale dei Minori - di Luisella Battaglia

Martina Levato e la decisione del Tribunale dei Minori - di Luisella Battaglia

Non si toglie così un bambino a una madre condannata

Martedi, 25/08/2015 - Articolo pubblicato in prima pagina IL SECOLO XIX / Lunedì 17 agosto 2015

Non si toglie così un bambino a una madre condannata



Infine è nato il ‘figlio della colpa’. La decisione del Tribunale dei Minori di togliere a Martina Levato, colpevole di un gravissimo crimine, il figlio appena nato non può non sollevare una serie di dubbi. Sappiamo che il bambino è stato separato dalla madre che non gli ha potuto dare neppure la prima poppata. Una decisione indubbiamente severa, presa, si afferma, nel superiore interesse del minore che dovrebbe essere protetto da una madre che ha subito una pesante condanna in primo grado. Si possono certo comprendere le motivazioni che hanno spinto il Tribunale a pronunciarsi come ha fatto, sennonché il concetto stesso di interesse, lungi dall’essere univoco, si presta a una pluralità di interpretazioni tra cui, ad esempio, anche la soddisfazione dei bisogni primari (cibo, calore, cura, tenerezze). La sentenza, per quanto comprensibile nelle sue motivazioni, appare per taluni aspetti sorprendente per il suo guardare con estrema sicurezza, per così dire, solo al futuro, dimenticando il momento presente, un momento di estrema delicatezza e complessità: quello di una relazione tra madre e figlio che, dopo nove mesi di assoluta simbiosi, viene spezzata repentinamente come se la madre fosse morta.

È, in effetti, una sentenza di morte civile che viene dichiarata con questa separazione. Ma quale giudice può decidere di far morire? Si ha un bel parlare del significato non afflittivo della pena e delle speranze di riabilitazione che mai dovrebbero essere negate, anche al criminale più incallito. Chi può escludere che la relazione col figlio possa diventare, per questa donna, un’occasione di riscatto? E, d’altra parte, non è forse nell’interesse del neonato quello di non essere bruscamente sottratto a chi gli ha dato la vita? È proprio la straordinaria complessità della situazione che si è venuta creando che avrebbe dovuto suggerire prudenza e più lunghi tempi di riflessione anziché decisioni così drastiche e assolute.

L’evento nascita racchiude in sé un significato profondo giacché contiene un elemento di speranza e di apertura al nuovo e, come ci ricorda Hannah Arendt, rappresenta sempre un nuovo inizio. L’interazione tra madre e figlio mette in moto meccanismi di riconoscimento biologici e affettivi che, nella nostra come nelle altre specie, agiscono in modi sotterranei e misteriosi. Perché allora dovremmo spezzare tale interazione, perché impedirle di svilupparsi? Certo, la cautela s’impone e il bimbo dev’essere protetto da ogni possibile pericolo o gesto inconsulto, ciò che dev’essere garantito mediante un’attenta opera di assistenza e un servizio di sorveglianza costantemente attivati, come previsto dalle legge nel caso delle madri detenute. Ma, ancora una volta, la vigilanza non dovrebbe implicare la separazione, tanto meno la fine di un rapporto fondamentale. Perché non dare a queste due creature la possibilità di conoscersi e, possibilmente, di amarsi?

Luisella Battaglia

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