Un mosaico di culture - Vittima in prima persona della repressione del regime iraniano e prigioniera nel carcere di Evin per ottocento giorni all’età di sedici, la scrittrice parla del suo presente
Silvia Vaccaro Lunedi, 14/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011
Alcune storie di vita non si possono dimenticare e vanno raccontate anche dopo anni, ma come afferma lei stessa “se pensi che la scrittura curi tutti i tuoi problemi, sei fuori strada: bisogna fare tantissimi passi dentro di sé prima di arrivare a raccontare e a liberarsi.” La protagonista di questo percorso personale coraggioso è la scrittrice iraniana Marina Nemat, vittima in prima persona della repressione del regime iraniano e prigioniera nel carcere di Evin per ottocento giorni all’età di sedici anni. Dopo anni di silenzio, nel 2000, le emozioni prendono il sopravvento e Marina decide di fare i conti con il passato che fa ancora parte di lei e non può più ignorarlo. Nasce così Prigioniera di Teheran (ed Il Cairo), che racconta la sconvolgente storia di una gioventù interrotta da un regime feroce. Oggi scrittrice di successo, Marina Nemat ripercorre quel cammino a ritroso, i lunghi anni dopo Evin, dopo Teheran. E riprende possesso di quella vita sospesa, in un certo senso non vissuta, prima della decisione di guardare in faccia il trauma. Durante il nostro incontro a Roma, per la presentazione del nuovo romanzo Dopo Teheran. Storia di una rinascita (ed Il Cairo), Marina mi ha parlato della sua vita in Canada e del rapporto coi suoi affetti. “Ho scelto il Canada come seconda madre patria solo perché mio fratello ci viveva. Non sapevo nulla della cultura canadese, il mio scopo era quello di trovare presto una casa e un lavoro. Solo col tempo, diventando parte di quella cultura, integrandomi, ho scoperto con mio grande piacere che è un paese dove sono tutti immigrati e la domanda che ci si rivolge quando ci si incontra è ‘da dove vieni?’ Questo mosaico, come io amo definirlo, è un arricchimento continuo per chiunque viva in Canada. Io e mio marito siamo iraniani, conserviamo fortemente la cultura del nostro paese di origine, ma in Iran facevamo parte di una piccolissima minoranza in quanto cattolici. È difficile vivere un’altra religione quando nel tuo paese il 99% ne pratica un’altra. In Canada, pur non essendo dei nativi, facciamo parte della maggioranza della popolazione e possiamo vivere il nostro credo in maniera libera e serena.”
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