Il 6 gennaio 1933 una contadina salernitana analfabeta, difendendo il tricolore, diede il proprio contributo al riconoscimento collettivo della bandiera italiana quale simbolo del nostro Paese.
Martedi, 15/03/2011 - Il comitato “Se non ora quando ” - Vallo di Diano, comprensorio territoriale salernitano, intende celebrare il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia con una bandiera simbolica, quella del racconto di una donna del Sud dimenticata dalla Storia, ma non per questo meno degna di essere commemorata per il contributo ideale che ha dato al processo di unificazione del nostro Paese. Considerando che tale processo passa necessariamente attraverso il radicamento nella collettività del concetto di Patria e nel riconoscimento dei suoi simboli, vogliamo offrirvi la storia di Mariantonia e della sua bandiera.
Era il 6 gennaio 1933, anno in cui era stato iscritto a ruolo in Italia il c.d.”focatico”,un’imposta di famiglia che rendeva ancora più difficili le condizioni di vita dei contadini e dei pastori, anche di quelli del Vallo di Diano. La mattina di quello stesso giorno molti di loro si radunarono in piazza, a Monte San Giacomo, piccolo paese del comprensorio, ed insieme alle donne, le più accese ed infuriate, decisero di marciare verso il municipio. Una volta arrivati a destinazione, trovarono negli uffici solo il messo comunale, che solidarizzò con loro. Non avendo trovato nessuna autorità a cui affidare la loro protesta, presero la bandiera, chiusero il portone e si diressero verso la stazione dei carabinieri di Sassano, per consegnare al maresciallo le chiavi della casa comunale. Ma le cose non andarono per il verso giusto e, dopo un tentativo da parte dei militi di riappropriarsi della bandiera, i tafferugli si trasformarono in un vero e proprio scontro, in cui ai carabinieri si affiancarono anche fascisti provenienti da altri ambiti territoriali. Alla fine sul campo rimasero tre corpi inanimati: un giovane al di sotto dei vent’anni, Michele Spina, e due donne, Anna Romano ed Annamaria Marotta, di cui una vedova di guerra e madre di due figli. Nella notte successiva ci fu una retata e trenta tra uomini, donne, vecchi ed ammalati vennero fermati e trattenuti in arresto per sedizione, resistenza a pubblico ufficiale ed altre ipotesi di reato. Durante il processo, celebrato al Tribunale di Lagonegro, il presidente chiese a Mariantonia, la contadina che reggeva alta la bandiera tricolore, perché avesse opposto resistenza al maresciallo che tentava di strappargliela. La donna,analfabeta, rispose con queste parole, pronunciate nel suo espressivo dialetto: “ Eccellenza, durante la lotta non bisogna mai abbandonare la bandiera perché, perdere la bandiera, o lasciarsela strappare dal nemico, significa perdere la Patria; mio marito mi ha sempre detto che così avevano insegnato a lui durante la guerra quando combatteva contro gli austriaci, e così ho fatto anch’io quando il maresciallo ha tentato di togliermela. “ ( Pietro Laveglia, Epifania 1933, Rinascita 1954 ).
Nel contesto odierno, caratterizzato da un dibattito snervante sull’opportunità di rendere festiva la data del 17 marzo, connotato dalla contrapposizione dell’inno di Mameli con il “ Va pensiero “ e dalla sostituzione della bandiera italiana con quella del Sole delle Alpi, si evidenzia in tutto il suo valore il gesto di Mariantonia. Difendendo la bandiera, ha dimostrato l’amore per la Patria, quello stesso amore che ci porta idealmente a considerare Mariantonia una donna che marcia con noi verso un Italia migliore, quel Paese per donne che sarà l’obiettivo dei nostri impegni futuri. Grazie a lei ed alle tante, tantissime donne, note oppure ignote, che hanno fatto grande l’Italia.
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