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Mariangela D'Abbraccio: la bellezza (e l'arte) ci salveranno

Mariangela D'Abbraccio: la bellezza (e l'arte) ci salveranno

Un incontro con l'attrice Mariangela D'Abbraccio offre lo spunto, in concomitanza della messa in scena di Elena di Ghiannis Ritsos, per una riflessione sul significato della bellezza, oggi....

Lunedi, 11/08/2014 - Mariangela D’Abbraccio in questi giorni è “Elena”, l’emblema della bellezza nell’immaginario collettivo del mito, nell’ambito della rassegna teatrale che Teatri di Pietra organizza nei più suggestivi siti archeologici in Italia: da Sutri e Ostia Antica nel Lazio, a Volterra in Toscana, nel sud a Ferento, Capua, in Calabria e in Sicilia, dove le ancora maestose vestigia dei teatri a pianta greca o romana, fanno da naturale e suggestivo sfondo alle storie rappresentate. Ma l’”Elena” di Ghiannis Ritsos non è più la splendida donna che fece perdere la testa a Paride, scatenando addirittura una guerra. E’ una donna vecchia, disincantata, che attraverso ricordi e visioni fa un amaro bilancio della vita, analizzando impietosamente le debolezze umane. E da questo testo, che fa riflettere, scaturiscono tante considerazioni proprio sulla bellezza.



Che cos’è per una donna la bellezza oggi, a differenza di un tempo?

La bellezza è sempre stata importante, anche per le cose che trasmette aldilà dall’aspetto fisico. Oggi è diventata una costrizione: c’è l’ossessione della giovinezza a ogni costo, più di ieri. Tutto è diventato omologazione e business: l’ossessione dell’apparire propria di questi tempi la codifica in ogni ambito. Ma ognuno dovrebbe trovare la propria dimensione di bellezza, anche valorizzando quelli che potrebbero essere considerati difetti o imperfezioni, che caratterizzano l’originalità di un individuo superando i canoni omologanti.



E quanto è importante la bellezza per un’attrice?

Certamente è importante, ma per una vera attrice è ancora più importante il carisma, la personalità, quel mix di qualità che con il talento fanno la differenza. La storia del teatro e del cinema sono piene di grandi attrici di indiscusso fascino che non avevano un tipo di bellezza classica, dai tratti regolari. Penso a Bette Davis, ma anche a Eleonora Duse, alla Magnani, bellezze non canoniche ma donne considerate anche bellissime per quello che emanavano. Soprattutto a teatro poi, più che al cinema, conta il vero talento. Ci sono colleghi e colleghe, non faccio nomi, considerati bellissimi e persino sex symbol secondo i canoni estetici odierni, che però sono attori mediocri, inespressivi. Sul palcoscenico, che è una prova fondamentale perché non sei supportato da doppiaggi, registrazioni, montaggi e smontaggi, possono risultare goffi, e addirittura brutti.



Può essere un privilegio essere belli, o è quasi, soprattutto per una donna, una sorta di… condanna?

Nel quotidiano può essere un vantaggio. Tutti ti guardano in un certo modo se hai un aspetto gradevole, sono più propensi a darti retta o a essere gentili. Paradossalmente nel nostro mestiere può essere uno svantaggio, e questo debbo dire succede soprattutto in Italia dove, se sei un’attrice di bell’aspetto, tendono ad affidarti certi ruoli, magari un po’ leggeri, fissi, come se non avessi abbastanza credibilità per sperimentarti in ruoli impegnativi, o drammatici, malgrado la bravura. Questo soprattutto nel cinema. So di attori uomini, perché questo succede anche a loro, che per ottenere una parte importante si sono addirittura imbruttiti. All’estero non è così. Puoi essere contemporaneamente bello e affascinante, e anche molto bravo, senza che nessuno abbia a ridire sulle tue scelte artistiche.



Nella cronaca, per esempio nei casi di violenza o femminicidio, la bellezza della donna viene quasi percepita come elemento scatenante, colpa pur incolpevole, stimolo scatenante gelosia e persino omicidio. Che ne pensa?

Più che un nesso diretto con la bellezza, vedo una recrudescenza della fragilità negli uomini, e in tutti i ceti sociali. In questo caso la cultura non ci salva. E’ come se gli uomini si sentissero persi, impauriti, destabilizzati. Hanno bisogno di possedere a tutti i costi per sentirsi sicuri. Sono incapaci di intrattenere un rapporto sano. Sono anche convinta che siano uomini che soffrono di una sofferenza che non sono in grado di gestire, perché solo una grande sofferenza può portare a un gesto estremo. E allora esce fuori la furia, in modo inatteso e irrazionale, spinta dalla paura, dal panico. I delitti di genere sono sempre accaduti nella storia, ma credo che in questo momento gli uomini stiano vivendo una situazione di fragilità particolare, drammatica, che purtroppo fa aumentare questi episodi.



Può, più o meno scientemente, un uomo provare invidia verso la bellezza di una donna?

Se parliamo di attori, si. I nostri attori sono insicuri, spesso, hanno paura che gli rubi la scena. C’è un maschilismo strisciante nel nostro settore. Basti guardare come i nomi vengono esposti e pubblicizzati nei cartelloni per fare un esempio. E’ difficile condividere alla pari un progetto di spettacolo con un uomo. In altri universi artistici non è così: in ambito musicale per esempio, c’è più parità e condivisione fra musicisti, cantanti, autori.



Ci sono affinità fra Mariangela D’Abbraccio e Elena di Ritsos?

Ritsos ha avuto il merito di riscrivere questa icona di bellezza mitologica, dandole un senso diverso, profondo, atemporale. E’ un’Elena invecchiata, che aldilà di apparire più debole, avendo perso la bellezza di un tempo, diventa più forte, perché cammina con il tempo, si trasforma, diventa testimone e scrigno di memoria, sempre presente. Lei rappresenta la resistenza umana, l’esserci sempre, il recuperare qualcosa che supera la contingenza della fisicità, della mera apparenza. Non a caso a un certo punto parla di chi non c’è più e dice che anche i morti sono tra noi, continuano a viverci accanto, a condividere le cose. Io credo in questo: la vita non scompare si trasforma, l’energia di chi non c’è più, ci rimane accanto sempre.



In teatro, e al cinema, ci sono sempre parti interessanti per gli uomini, qualunque età abbiano. Per le donne ci sono stesse possibilità?

I problemi ci sono soprattutto al cinema. In teatro l’età è abbastanza simbolica, al cinema no. Se sei un uomo puoi emergere anche a cinquant’anni, ti vengono date più chances. Un uomo con le rughe, i capelli bianchi, è considerato comunque affascinante. Una donna no. Così ti danno parti da mamma o da nonna, non puoi essere altro, non si spazia molto al cinema. All’estero non è così, basti pensare a grandi interpreti come Hellen Mirren, Maryl Streep, Tilda Swinton, tanto per citarne alcune che hanno superato i cinquanta, che affrontano tranquillamente qualunque ruolo da protagoniste.



Un personaggio che le piacerebbe portare in scena, e che nessuno le ha ancora proposto?

Blanche del Tram che si chiama desiderio, di Tennessee Williams. Sarebbe come completare una trilogia per me. Di Williams ho interpretato La gatta sul tetto che scotta, e la Rosa tatuat. Tra l’altro il Tram è stata una delle mie prime letture teatrali da adolescente. Mia madre da bambina mi faceva leggere Cecov invece delle solite favole, e Tennessee Williams appunto.



Progetti futuri?

Nella prossima stagione riprenderò in teatro Dopo il silenzio, un testo sulla mafia, con Sebastiano Lo Monaco. Poi mi piacerebbe riprendere Teresa la ladra di Dacia Maraini. E’ appena uscita la riedizione del libro, con un cd. Nello spettacolo canto, ballo e recito. E’ un testo cui sono molto affezionata.



Ma la bellezza, ci salverà o…ci dannerà?

La bellezza, ma direi anche l’arte, ci potrebbero senz’altro salvare, se imparassimo a riconoscerle, a dar loro il giusto valore, e a rispettarle.

Alma Daddario

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