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Marhaba, Mabsutha - di Tommasina Soraci

Marhaba, Mabsutha - di Tommasina Soraci

In questo saluto arabo c’è già tutto il senso e lo spirito di Fiorenza Morighi: un incontro mancato con una scrittrice palestinese richiama “frammenti” di memoria (Midgard Editrice, Perugia)

Lunedi, 25/05/2009 - “Ciao, stai bene?”. In questo saluto arabo c’è già tutto il senso e lo spirito di Fiorenza Morighi: un incontro mancato con una scrittrice palestinese richiama “frammenti” di memoria di una giovinezza segnata dalla “difficoltà di sentirsi bene e a proprio agio in un mondo in cui è difficile crescere e in cui le speranze di cambiamento in positivo vengono sovente disilluse”.

Il tempo chiude il cerchio tra l’oggi di una donna matura e consapevole e l’ieri di un’adolescente alla ricerca della propria identità nella società e nella storia, quelle degli anni ’60, quando l’amicizia con un giovane palestinese spalanca la curiosità e il cuore verso chi è “come” ed insieme “diverso” da noi.

Si dipana, allora, la storia che è quella della formazione di un’adolescente di una città di provincia, arroccata nella fortezza di un’educazione conformista ma in un ambiente non privo di stimoli (per chi ha voglia di coglierli) per la presenza di un buon numero di studenti stranieri.

Dall’adolescenza, alla giovinezza, alla maturità procede il faticoso ma entusiasmante cammino, con i suoi ostacoli e le sue cadute, verso la consapevolezza del proprio essere nel mondo, in un determinato momento storico e sociale: la guerra del Vietnam, il ’68, quando “il coro dei benpensanti borghesi non si era reso conto che a costo di sacrifici i figli degli operai e i figli dei mezzadri avevano cominciato a studiare e purtroppo si erano infiltrati tra i figli di papà e i figli degli intellettuali…Gli infiltrati purtroppo non avevano molto tempo e soldi da perdere…Così a continuare la lotta dura insieme agli operai furono soprattutto i figli dei colletti bianchi” e il conflitto israelo-palestinese visto con gli occhi di chi, bambino, era stato costretto a lasciare casa, abitudini, affetti e analizzato, sempre con grande senso della storia, dalla parte degli esclusi.

Il dato più significativo e avvincente è quello di una narrazione che intreccia, senza forzature, il piano individuale e privato con quello della società in cui ci si è trovati a crescere e della storia che non è “altro” da noi; il tutto raccontato con leggerezza e autoironia, che sottendono tuttavia un profondo “spessore” interiore. E non è un caso che la Morighi abbia scelto di fare anzi di essere insegnante!

E’ un libro che le donne di quella generazione leggeranno tutto d’un fiato ma con grande partecipazione emotiva perché, al di là delle differenze personali, si riconosceranno nelle esperienze di un viaggio verso l’assunzione di consapevolezza e responsabilità del loro esserci nella società ed esserci in un certo modo: “Era comunque destino che io uscissi fuori dalla realtà di provincia e che la mia vita venisse a contatto con quella di tanti altri dalle culture diverse. Ho conosciuto uomini, donne e giovani di ogni Paese. Ho continuato a scrivere e parlare di loro e delle loro storie. Sono sicura di aver ricevuto da essi più di quanto non abbia dato. La mia crescita interiore la devo anche a tutti loro”. Alle più giovani offre una finestra aperta sul loro essere donne in un contesto che oggi privilegia l’individualismo egoistico e privato (mi si consenta il pleonasmo!): “La memoria storica. Buona cosa conservare la memoria storica. Buona cosa anche conservare la speranza e comunicarla ai giovani, perché possano imparare a vivere in modo solidale in una società di diversi ma uguali”.

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