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Margherita Cassano: la prima donna al vertice della Corte di Cassazione - di Ada Marseglia

Margherita Cassano: la prima donna al vertice della Corte di Cassazione - di Ada Marseglia

Giurista di altissimo livello, è stata anche la prima a rivestire l'importante ruolo di Presidente aggiunto della Corte di Cassazione

Martedi, 28/02/2023 -

L'evoluzione civile che ha coinvolto in questi ultimi anni il mondo delle donne è approdata anche in Magistratura.

Per la prima volta, nella storia italiana, la Presidenza della Corte di Cassazione viene affidata ad una donna giurista d'altissimo livello, la magistrata Margherita Cassano.

In verità nella vita professionale della neo Presidente c'è anche un'altra "prima volta": è stata anche la prima donna a rivestire l'importante ruolo di Presidente aggiunto della Corte di Cassazione.

Quando, nel luglio 2020, fu eletta commentò così la sua nomina: "Verrà  il giorno in cui una nomina come la mia non sarà più una notizia, e allora, sì, per davvero, quello sarà un gran giorno per tutte le donne".

Figlia d'arte, ad indicare la Presidente Cassano a succedere al Primo Presidente Pietro Curzio, che andrà in pensione il prossimo 5 marzo, è stata la Commissione per gli incarichi direttivi, che ha votato all'unanimità la proposta del relatore, indicata dal Csm appena insediato e guidato dal vicepresidente Fabio Spinelli.

Noi donne non amiamo la retorica delle celebrazioni sugli incarichi di vertice, ma condividere questo momento è un doveroso contributo alla vita culturale e sociale del Paese, perché ci sono donne la cui biografia si intreccia con la storia di un Paese e il nome della neo Presidente Margherita Cassano è già nella storia del nostro Paese.

In un mondo tradizionalista come quello delle toghe la nomina di una donna rappresenta un cambio di passo ed è significativo per la storia delle nostre istituzioni, sotto il profilo sociale, culturale e professionale.

Evidentemente le donne in toga stanno meritando i loro successi.

Alla neo Presidente Margherita Cassano va il merito di aver infranto il "soffitto di cristallo" al vertice della Cassazione, in uno Stato dove le donne in posizioni apicali sono ancora in minoranza e dove i tempi dell'eguaglianza di genere sono ancora lunghi, ancora più lunghi di quelli dei diritti civili in genere.

In questo contesto alcuni tetti di cristallo fanno più rumore  di altri..

Nonostante nella mitologia greca fosse una donna ad impersonare la Giustizia, la dea Dike, rappresentata da una figura femminile giovane e florida, con una benda sugli occhi che regge una bilancia con una mano e impugna una spada con l'altra, essa è stata per lungo tempo una questione di soli uomini, in cui le donne non potevano entrare.

I lavori dell'Assemblea Costituente hanno segnato la svolta per la presenza delle donne nelle istituzioni.

Considerevole è stato il contributo di quelle poche, ma tenaci donne elette il 2 giugno del 1946, fra cui Teresa Mattei, Nilde Iotti, Maria Federici, Angela Merlin e Gisella Forlanini.

Grazie a loro e al loro coraggio è stata compiuta la stesura di regole fondative della democrazia italiana, che tuttora costituiscono principi cardine del nostro Ordinamento.

Vi era in loro, però, la profonda consapevolezza che non sarebbe bastato scrivere in Costituzione che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso" perché ciò veramente accadesse, soprattutto in un Paese come l'Italia, segnato da secoli di arretratezza culturale e pregiudizi sessisti.

Sapevano bene che sarebbe stato necessario lottare, molto e molto a lungo per effettivamente far acquisire in profondità, alle radici della società, la parità sancita dalla Costituzione.

Le 21 donne elette nell'Assemblea Costituente non mancarono comunque l’obiettivo di far dire alla Costituzione che donne e uomini hanno pari dignità e diritti in ogni campo della vita, nella famiglia, nel lavoro e nella sfera pubblica.

Grazie a loro avvenne il riconoscimento della parità formale tra uomini e donne negli articoli della Costituzione e l'inserimento nella Costituzione italiana dell'art.51, che dispone che "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalle legge".

A loro si deve di aver impedito che la Costituzione potesse giustificare deroghe all'uguaglianza e in particolare che fosse interdetto alle donne l’altissimo mestiere di amministrare giustizia. Non solo, ma avevano la consapevolezza che l'obiettivo della parità non era cosa di donne, ma interesse di tutti, ed anzi imprescindibile presupposto di una compiuta democrazia, una democrazia fatta di uomini e donne.

Ma durante i lavori dell'Assemblea Costituente, non mancarono posizioni volte a limitare o ad ostacolare l'introduzione di norme che sancissero l'eguaglianza effettiva tra donne e uomini.

Il dibattito intorno alle norme sull'Ordinamento Giudiziario e il principio sulla parità di accesso alla Magistratura per uomini e donne era stato infuocato: "Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna - affermava l'onorevole Molè - ho l'impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche".

Nonostante gli straordinari risultati conseguiti nella stesura del principio di uguaglianza in Costituzione, in tutte le declinazioni, la portata innovativa del testo costituzionale fu inizialmente svilita nel suo significato essenziale, almeno sino al 1960.

Fu il ricorso di una donna tenace e coraggiosa, Rosanna Oliva, a provocare la cancellazione di una norma ingiusta e discriminatoria, in palese contrasto con la Costituzione.

In quanto donna, infatti, era stata esclusa da un concorso al Ministero dell'Interno.

Per sanare una ferita così grave sul piano dei diritti intervenne la Corte Costituzionale, non il Parlamento, arrivando ad affermare che  "una norma  che consiste nello escludere le donne in via generale da una vasta categoria di impieghi pubblici, (deve) essere dichiarata incostituzionale per l'irrimediabile contrasto  in cui si pone l'art.51, il quale proclama l'accesso  agli uffici pubblici e alle cariche elettive  degli appartenenti all'uno e all'altro sesso in condizioni di uguaglianza (Corte Cost. sent.n. 33 del 1960).

Con la legge 9 febbraio 1963 n.66 il Parlamento aprì finalmente la porta alle donne per accedere a tutti gli impieghi e le professioni, compresa quella del magistrato. Era una legge composta solo da due articoli, ma che in poche e semplici parole affermava un principio  fondamentale:

Art.1 . La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.

Art.2.  la legge 17 luglio 21919 n. 1176, il successivo regolamento approvato  con regio decreto 4 gennaio 1920 n.39 ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati.

Un traguardo raggiunto con grave ritardo.

Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne fu bandito il 3 maggio 1963 e fu vinto da 8 donne, donne tenaci pioniere nel cambiare e modernizzare sia il diritto, che la giurisdizione che entrarono in servizio il 5 aprile 1965: Letizia De Martino, Ada Lepore, Giulia De Marco, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D'Antonio, Annunziata Izzo, Emilia Capelli, e Gabriella Luccioli, prima "toga rosa",  ad essere nominata nel 1990 consigliere della Corte di Cassazione per poi diventare nel 2008 la prima donna Presidente di Sezione della Corte di Cassazione.

Secoli di pregiudizi hanno visto la donna lontana da certi luoghi e da certe funzioni:  le donne  potevano educare, votare, ma non giudicare. 

Molti passi avanti sono stati compiuti lungo il difficoltoso cammino della parità di genere, soprattutto grazie alle sentenze della Corte Costituzionale e alle leggi, che dalle parole della Costituzione hanno preso slancio per imprimere svolte importanti.

Oggi in alcuni ambiti del pubblico impiego, come appunto la Magistratura si è verificato addirittura il sorpasso e la percentuale di donne è superiore a quella degli uomini.

Il dato numerico dipinge la tenacia e la capacità, tipicamente femminile,di perseguire un obiettivo senza risparmiarsi e l'ingresso delle donna nella Magistratura ha segnato, senza dubbio, l'introduzione di una sensibilità diversa rispetto all'analisi della questione giuridica.

Un abito mentale ed un modo di essere, forse anche più concreto ed aperto a vari livelli di comunicazione, che dovrebbe integrarsi e non già contrapporsi  a quello maschile.

In realtà permangono resistenti ostacoli, radicati nella mentalità corrente, nella tradizione e nel costume che continuano a limitare di fatto la libertà e l’eguaglianza delle donne, impedendo loro il pieno sviluppo come persone  e l'effettiva partecipazione alla costruzione sociale, politica e culturale del Paese.

Sono però fermamente convinta che il riconoscimento del diritto della donna di partecipare all'attività giudiziaria sia stato non solo uno strumento di civiltà giuridica per aver eliminato finalmente una discriminazione di genere ingiustificata, ma uno strumento di arricchimento nell'esercizio della giurisdizione che scaturisce dalle differenze, perché ha consentito che le doti femminili introducessero nel sistema una sensibilità nuova,capace di coniugare il rigore scientifico  del giurista  con la sensibilità specifica del suo essere donna.

Quella della parità di genere è una questione culturale che trova il suo principale nutrimento nel tessuto sociale, da qui la centralità del fattore educativo da cui anche i più alti principi giuridici e costituzionali dipendono, per potersi pienamente affermare nella loto effettività.

Il valore del genere femminile è una ricchezza in termini di capitale umano, ma anche un patrimonio ed un investimento.

"Non vi può essere un solo passo sulla via  della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo  sulla via del progresso civile e sociale che non debba essere compiuto dalla donna insieme all'uomo" (On Mattei sed. 18 marzo 1947)

Incrementare la presenza femminile ai vertici della Magistratura significa inviare un messaggio importante non alle sole donne, ma a tutta la società affinché si possa davvero raggiungere quella "democrazia fatta di donne e uomini" (ancora On. Mattei sed. 18 marzo 1947) che sognavano le nostre Costituenti.

La nomina della Neopresidente segna un ulteriore passo avanti per la nostra democrazia e la realizzazione dell'eguaglianza sostanziale di genere.

È un giorno importante per il nostro Paese e le sue Istituzioni.

Auguri di buon lavoro, Presidente, per il nuovo, alto e prestigioso incarico!


Avv. Ada Marseglia


 

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