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Margaret Fuller Ossoli, le donne e l'impegno civile nella Roma risorgimentale

Margaret Fuller Ossoli, le donne e l'impegno civile nella Roma risorgimentale

Dotata di una profonda istruzione umanistica, Sara Margaret Fuller era divenuta negli Stati Uniti una paladina dell'emancipazione femminile dando vita a incontri culturali, dirigendo un giornale insieme al suo mentore, il poeta e scrittore Ralph W. Emerso

Lunedi, 10/05/2010 -
Quest'anno cade il bicentenario della scrittrice e giornalista americana Margaret Fuller Ossoli, che visse in prima persona la Roma del primo Risorgimento culminato, tra l'aprile e il luglio 1849, con la difesa della Repubblica Romana, attaccata dalle truppe francesi, inviate a restaurare il potere temporale dei papi.

Sara Margaret Fuller era nata vicino Boston, negli Stati Uniti, solo 60 anni prima divenuti indipendenti e prima repubblica democratica della storia moderna.

Le ricerche che ho svolto durante la preparazione del mio saggio sugli anni italiani di Margaret, che sarà pubblicato alla fine di quest'anno, fornisce ulteriori e più precisi paticolari sull’opera di soccorso ai feriti che la stessa Fuller prestò presso l’Ospedale Fatebenefratelli nel corso dell'assedio di Roma tra l'aprile e il luglio 1849.

Vale la pena ricordare che, al tempo, Margaret Fuller era un personaggio noto nel mondo letterario degli Stati Uniti per aver pubblicato numerose opere sulla condizione femminile e delle categorie più sfortunate della società di allora e aveva tenuto conversazioni culturali che tendevano all’elevazione della donna. Inoltre prima di partire per l’Europa, si era distinta come critica letteraria del quotidiano newyorkese The Tribune.

Giunta nel vecchio Mondo sullo scorcio del 1846, aveva visitato la Gran Bretagna e la Francia, per poi giungere a Roma nella primavera del 1847 dove aveva incontrato il futuro marito, Giovanni Angelo dei marchesi Ossoli, col quale aveva stabilito un sodalizio d'affetti e di comunanza politica, essendo entrambi di idee mazziniane. Proseguita la visita nel nord d’Italia, era poi ritornata a Roma e, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo esporre qui, aveva sposato in segreto l’Ossoli e con lo stesso aveva avuto a Rieti un figlio sul finire dello stesso anno.

Tornata a Roma a metà dell’aprile 1849, s’era venuta a trovare nel pieno di una crisi politico-militare, in quanto la Repubblica era stata attaccata dalle potenze del tempo, con in testa, inopinatamente, la Francia repubblicana del futuro Napoleone III, accorse per ristabilire il regime assolutistico del papato.

Temendo giustamente il peggio, dato che i francesi, pur dichiaratisi amici dei romani e venuti per difenderli dall'attacco austriaco, avevano occupato Civitavecchia con 12000 uomini, il Triumvirato, con a capo Giuseppe Mazzini, decise di incaricare una persona fidata di fare il punto della situazione ospedaliera e attuare le misure più idonee ad assicurare una efficiente assistenza ai feriti. Il Mazzini, che era a capo del Triumvirato, pensò alla sua amica milanese Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che pochi giorni prima aveva incontrato nuovamente a Roma, venuta per ottenere notizie di prima mano necessarie alla pubblicazione della Storia delle rivoluzioni d’Italia su cui intendeva lavorare.

Il Mazzini ebbe in quell'occasione l'intuizione di scegliere la Belgiojoso quale direttrice e animatrice di un gruppo di donne, pratiche e decise come essa stessa, al fine di rimediare le carenze riscontrate dalla stessa Belgiojoso presso gli ospedali e di condurre l’organizzazione di un’efficiente assistenza ai futuri feriti.

Era un’epoca quella in cui ancora non esisteva la Croce Rossa, dove la medicina ancora non conosceva la sepsi e l’anestesiologia muoveva i primi passi, ma non era giunta ancora a Roma; dove le operazioni erano praticate in sale non idonee, con strumenti rudimentali, e spesso da medici improvvisati, se non da barbieri e, infine, dove al posto degli infermieri i malati erano assistiti da facchini e da caporali.

Vale la pena di citare alcuni passi del già citato rapporto che la Belgiojoso fece al Ministro dell’Interno sui sopralluoghi condotti a partire dal 27 aprile, due giorni prima della formale investitura e 3 dell’attacco francese:

“Coll’occasione delle visite che il Comitato Centrale dovette eseguire nei varj Ospedali pel fine di procurare ai feriti la dovuta assistenza, si rinvennero in detti Ospedali infiniti abusi, vieti sistemi, difetto di pulizia, etc. Negli Ospedali più ricchi e più splendidi di Roma, non vi ha assistenza più di quella degli infermieri, uomini ineducati e rozzi, sucidi, sovente ubbriachi, l’antipodo insomma di ciò che debbono essere le persone dedicate al servizio degli infermi...”

Il Comitato, presieduto da Padre Alessandro Gavazzi, ma di fatto diretto, oltre che dalla Belgiojoso, dalla Giulia Paolucci, dalla Enrichetta Pisacane, fu formalmente investito dal triumvirato solo il 29 aprile, ma le donne s'erano già date da fare, e come! Il giorno successivo, proprio durante l’attacco francese, la Belgiojoso nominò Margaret Fuller col seguente biglietto:

“Cara Miss Fuller, Siete nominata (Di)Regolatrice dell'Ospedale Dei Fate Bene Fratelli. Andatevi alle 12 se la campana di allarme non è sonata prima. Arrivata là riceverete tutte le donne che vengono pei feriti, darete loro i vostri ordini tanto da essere sicura di avere un certo numero di esse notte e giorno. Che Dio ci aiuti. Cristina Trivulzio di Belgioioso.” :

Il Comitato, secondo il decreto del triumvirato, doveva comunicare “coll'amministrazione di Sanità Militare, col municipio, e coi Ministeri della Guerra e dell'Interno” di fatto quindi la sua struttura non adava a sostituire, ma ad integrare quella della sanità militare da un lato e dall’altro quella tipica degli ospedali che continuò a provvedere la consueta assistenza agli infermi.

Dallo studio comparato delle carte esistenti presso l’Archivio di Stato di Roma, ho potuto affermare che con l’istituzione delle ambulanze presso gli ospedali, si tendeva a non curare i feriti insieme agli altri ammalati, ma per quanto possibile a separarli, sia dal punto di vista fisico sia per quanto riguarda l’impiego del personale addetto. Nel caso dei feriti, presso le ambulanze istituite all’interno degli ospedali, erano stati specificatamente addetti dei medici e degli infermieri militari.

Infatti, la ricerca da me svolta ha riportato alla luce un “Elenco degli Ufficiali Sanitari medici e chirurghi esistenti negli Ospedali civili pagati dal Ministero di Guerra” ove, per quanto riguarda il Fatebenefratelli leggiamo: “Fate bene Fratelli: Vignola, scudi 30; Maggi, scudi 24; Tilli, scudi 24”.

Occorre pertanto meglio precisare quanto scritto da Gigi Huetter , e riportato su alcune pubblicazioni del Fatebenefratelli, di cui una a firma Adalberto Pazzini, secondo cui “del personale sanitario lo Huetter nomina il Chirurgo Lenzi Raimondi... soprannumero allo Speroni e al Santandrea... e il medico Giuseppe Sangallo... soprannumero al Cerrecchia e al Grirelli.” Lo stesso Adalberto Pazzini aggiunge che queste notizie sono “...un po’ di fortuna e un po’ supposte...” . Sicuramente i suddetti chirurghi continuarono a prestare la propria opera agli infermi che si rivolgevano all’ospedale per le consuete patologie, mentre i feriti per cause militari erano ricoverati presso l’ambulanza, per essi appositamente istituita negli stessi locali o in locali adiacenti, e trattati dai medici militari, coadiuvati da personale infermieristico opportunavente reclutato.

A tal fine giova riportare la bozza di un avviso a firma della Belgiojoso, da me rinvenuto, il quale invita “Tutte le cittadine che si ascrissero a quest'opera si recheranno al primo tiro di cannone a quello fra questi ospitali che più loro conviene. Le donne sane e robuste sono specialmente desiderate.” E l’essenza dell’opera da prestare è così delineata: “ognuno dei vostri concittadini, il cui sangue si sparge per la patria, sarà trattato come figlio da una sollecita madre; il numero delle cittadine che brigano di contribuire a questa opera di patria carità è grande, per cui nessuno mancherà di assistenza.”

La mia ricerca ha permesso anche di meglio chiarire i dati riguardanti la quantità e la qualità dei feriti assistiti dall’ambulanza militare presso il Fatebenefratelli, comparando fra loro il Registro manoscritto esistente presso l’Ospedale , quello manoscritto presso l’Archivio di Stato e quello a stampa presso la Biblioteca di Storia Monderna .

Infine, la traduzione dall’inglese delle corrispondenze inviate dalla Fuller al proprio giornale e delle lettere che la stessa inviava ai suoi molteplici amici, nonché dagli estratti delle sue memorie e di quelle della sua amica Emeline Story, è stato possibile tracciare quella che poteva essere la situazione all’interno degli ospedali, vista da testimoni oculari.

Ecco alcuni estratti dalle memorie e dai reportage di Margaret Fuller Ossoli che riguardano la sua opera: "27 maggio 1949: … per la prima volta, ho visto quel che soffrono gli uomini feriti. La notte del 30 aprile l’ho passata in ospedale e ho visto la terribile agonia di chi moriva o di chi doveva essere amputato: ho provato le loro sofferenze mentali e la mancanza dei cari lontani, dato che molti di questi erano Lombardi, venuti dai campi di Novara per combattere con maggior fortuna. Molti erano studenti dell’Università, … arruolati e … gettati nella prima linea di combattimento. … gli ospedali … sono stati messi in ordine, e vi ci sono stati mantenuti dalla Principessa Belgioioso.

Il generale Oudinot abbandonò i suoi feriti senza cure adeguate.

(La principessa) ha pubblicato un invito alle donne romane per offerte di garza e bende, e d’assistenza ai feriti, ha messo in ordine gli ospedali: in quello centrale, la Trinità de’ Pellegrini… lei è rimasta giorno e notte sin dal 30 aprile, quando i feriti sono arrivati lì per la prima volta.

"6 giugno 1849. … Le perdite dalla nostra parte è di circa trecento uccisi e feriti; le loro devono essere maggiori. In una villa sono stati trovati settanta loro cadaveri. Trovo i feriti all'ospedale al colmo dell’indignazione. I soldati francesi hanno combattuto così furiosamente, che li pensano falsi come il loro generale e non possono sopportare il ricordo della loro visita, durante l’armistizio e i loro discorsi di fratellanza. …I francesi lanciano razzi in città: uno è scoppiato nel cortile dell'ospedale, appena ero arrivata lì ieri, allarmando molto i poveri sofferenti.

10 giugno 1849. … Sei-settecento italiani sono morti o feriti. Tra di essi ci sono molti ufficiali, quelli di Garibaldi specialmente, che sono più esposti per il loro eroico coraggio e per le camice rosse che li rendono naturale bersaglio del nemico. … Egli è ora stato ferito due volte qui e diciassette ad Ancona."

"… Tutta questa settimana sono stata molto agli ospedali dove si trovano questi nobili sofferenti. Sono pieni d’entusiasmo. … Tutti non aspettavano altro che d’uscire e mettersi di nuovo alle postazioni. Parevano convinti che morire con tanta gloria fosse una gran fortuna: forse lo è, perché se Roma è obbligata a vincere (e come può essa resistere all’infinito contro le quattro potenze senza nessun aiuto?) dove potranno fuggire questi nobili giovani?

…vado quasi giornalmente agli ospedali e, benché abbia sofferto (… non avevo idea, di quanto fossero terribili le ferite d’arma da fuoco e la febbre vulneraria), tuttavia m’ha fatto piacere ... trovarmi con gli uomini: non c’è n’è uno che non abbia nobili sentimenti. Molti, specie fra il lombardi, sono il fiore della gioventù italiana. Quando cominciano a star meglio, porto loro libri e fiori; leggono e parliamo."

"Il palazzo del papa, sul Quirinale, adesso è adibito ai convalescenti. In quei bei giardini, cammino con loro: uno fasciato, un altro con le stampelle. Il giardiniere fa funzionare tutti i giochi d’acqua per i difensori della patria e raccoglie fiori per me, loro amica. … Un giorno o due fa ci siamo seduti nel piccolo padiglione del papa, in cui usava tenere le visite private. Il sole stava gloriosamente tramontando su Monte Mario, dove fra gli alberi brillavano le tende bianche dei cavalleggeri francesi. Le cannonate si udivano a intervalli. Due ragazzi dagli occhi luminosi sedevano ai nostri piedi e con ardore raccoglievano ogni parola pronunciata dagli eroi del giorno."

"Le signorine della famiglia (dove abito), ragazze molto giovani, erano piene d’entusiasmo per i sofferenti, patrioti feriti e volevano recarsi all’ospedale per dare i proprio contributo. Salvo le tre soprintendenti, ad aiutare là erano ammesse solo signore sposate, ma il loro aiuto è stato accettato. Così anche la loro governante desiderava andare e, dato che poteva parlare parecchie lingue, è stata ammessa alle stanze dei soldati feriti, a far loro da interprete, visto che le infermiere non conoscono altra lingua che l'italiano e molti di questi poveri uomini stavano soffrendo, perché non potevano far capire i propri bisogni. Alcuni sono francesi, alcuni tedeschi, e molti polacchi. Effettivamente, temo sia proprio vero che fra loro ci fossero relativamente pochi romani. Quella giovane signora ha passato là parecchie notti."

"12 giugno 1848. … i francesi che pretendevano d’essere l’avanguardia della civiltà, stanno bombardando Roma. Osano rischiare di distruggere il ricco lascito fatto dal Grande Passato all’Umanità. Anzi, essi sembra che lo facciano in un modo particolarmente barbaro. Si pensava che avrebbero evitato, più che potessero, gli ospedali per i feriti, segnalati con una bandiera nera. … ma molte bombe sono cadute sui principali ospedali … Ponte Molle, … lo scorso venerdì ha nuovamente visto un’aspra lotta. Più di cinquanta sono portati feriti dentro Roma.

Ma le ferite e gli assalti non fanno altro che accendere un crescente coraggio tra I difensori. Essi sentono la giustezza della loro causa e la particolare iniquità di questa aggressione."

"17 giugno 1849. … Lo stato d’assedio è terribile, questi continui allarmi, poi ascoltare le cannonate giorno e notte e sapere che con ogni colpo alcuni giovani possono sanguinare e morire. A volte non posso dormire, altre mi riaddormento per puro esaurimento.

8 luglio 1849. … In questi ultimi momenti ci si può sentire, come me, tristi di lasciare questa Roma ferita. Qui lascio tanti nobili cuori di cui conosco le sofferenze! Sento che, se non posso aiutare, almeno posso lenire. Ma se non fosse per mio figlio, non andrei finché sapessi se alcuni, ora ammalati, vivano o muoiano.

8 luglio 1849. … in mezzo … a questi nobili, martiri sanguinanti, miei fratelli, non posso soffermare i miei pensieri su niente altro. … Le mie speranze personali sono crollate con quelle dell'Italia."

"Luglio 1849. Non posso dirti che cosa ho provato nel lasciare Roma; abbandonare i soldati feriti; sapendo che nulla era stato previsto per loro, quando si sarebbero alzati dai letti in cui sono stati gettati dal loro nobile coraggio, dove hanno sofferto con dignitosa pazienza. Ad alcuni fra gli uomini più sventurati, che si alzavano privi anche del braccio destro (uno aveva perso sia il braccio sia la gamba destra), avrei potuto fornire una piccola somma. Avessi potuto vendere i capelli, o il sangue dal braccio, lo avrei fatto. … … Questi poveri uomini sono stati lasciati senza aiuto alla mercé di un nemico spregevole e vendicativo. … immaginate che cosa ho provato nel vedere tutta la più nobile gioventù, tutto il genio di questa cara terra, di nuovo asservito!"

"28 agosto 1848. … la vista di questi splendidi virgulti, bei giovani, falciati nel magnifico fiore degli anni, è stato troppo per me. Dimentico le grandi idee, per immedesimarmi con le povere madri, che nutrirono i loro cari corpi, solo per vederli totalmente recisi e sfregiati. … spesso essi hanno sostenuto il mio coraggio:

uno, baciando i frammenti di ossa che gli erano stati estratti con tanto dolore dal braccio e che aveva appeso intorno al collo come reliquie per ricordare che anch’egli aveva fatto e sopportato qualcosa per la Patria e per le speranze dell’Umanità.

Un bel giovane, invalido per sempre, vedendomi piangere dato che non potevo alleviare i suoi spasmi, m’afferrò la mano e debolmente gridò, “Viva l'Italia„.

Un povero soldato ferito disse: “Pensa soltanto, «cara bona donna» “che potrò portare sempre la mia uniforme nelle «feste», proprio come è ora, con i fori dove sono passate le palle, per ricordo.

“Dio è buono; Dio sa” mi dicevano spesso, quando non trovavo una parola per consolarli."

"…Ho sofferto vedendo questi templi dell’anima così infranti, vedere questi nobili uomini sfiniti dalla febbre e sottostare a dolorose operazioni, questi veri sacerdoti della più alta speranza; ma non avrei voluto mai perdere l’occasione di vedere tutti loro.

La loro memoria consolerà questa pellegrina, tra gli spettacoli della meschinità, dell’egoismo e della mancanza di fede che la vita le riserverà."



Vale la pena di notare, infine, che Pio IX accusò il Comitato di Soccorso d’aver rifiutato i sacramenti ai moribondi e di averli costretti a esalare l’ultimo respiro tra le braccia delle prostitute, così erano considerate le donne che avevano prestato la propria opera ai feriti, senza distinzione di patria e di credo religioso.



Dalla Belgiojoso gli fu risposto: "Santo Padre … forse avrei potuto espellerle se non avessi io adorato il precetto di quel Dio che, in sembianze umane, non disdegnò che una donna di perversi costumi gli ungesse i piedi e glieli asciugasse con le sue lunghe trecce."

 

Maggiori dettagli saranno parte del saggio in via di pubblicazione.



Mario Bannoni



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