Luisa Morgantini Lunedi, 05/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012
Manal e Nariman Al Tamimi, due donne palestinesi di 39 e 35 anni, sono cugine. Ciascuna di loro ha quattro figli. Manal è nata a Nabi Saleh dove ha vissuto, tranne che per sette anni, quando da poco sposata si è trasferita a Ramallah, ma era troppo grande per lei: “io sono una donna del villaggio, qui c’è tutta la mia famiglia, siamo uniti, ci aiutiamo, Ramallah è impersonale”. Nariman è nata in Arabia Saudita, dove la famiglia da Nabi Saleh si era trasferita alla ricerca di lavoro. Morto il padre sono andati in Giordania. Un giorno è tornata a Nabi Saleh, ha conosciuto Bassem e dopo un mese si sono sposati. Nel paese di 550 persone vi è una sola famiglia, gli Al Tamimi. Arrivarono da Hebron più di trecento anni fa. Allora vi era solo la tomba di uno dei 21 profeti dell’Islam, Nabi Saleh.
Nel 1977 nella collina di fronte al villaggio i coloni israeliani, che oggi sono più di mille, stabilirono Halamish confiscando quasi la metà della terra del villaggio. Nel dicembre del 2009 i coloni, protetti dall’esercito, hanno preso possesso di una fonte di acqua di proprietà del sindaco di Nabi Saleh. Da quel momento inizia la protesta per riprendersi la sorgente d’acqua con manifestazioni nonviolente duramente represse dall’esercito ed alle quali partecipano attivisti israeliani ed internazionali.
Nello scorso dicembre Mustapha Tamimi viene ucciso da un candelotto lacrimogeno sparatogli direttamente nel volto. Manal e Nariman sono arrestate più volte e portate nelle prigioni israeliane, e raccontano: “ci hanno messo con le criminali comuni israeliane. È stato terrificante per noi perché non puoi immaginare due donne da sole tra circa settanta israeliane incriminate per droga, omicidio e delitti del genere. Al solo loro sguardo avevamo paura che ci uccidessero. Sono stati i giorni più lunghi della nostra vita ed ora i nostri bambini vivono nel terrore che i soldati ci portino via”. Alle manifestazioni partecipano bambini, donne, uomini. Le donne hanno un ruolo determinante, non consueto in tutti i Comitati popolari per la resistenza nonviolenta. L’esercito arresta i bambini, li picchia, usa torture fisiche e psicologiche per far denunciare gli adulti che partecipano alla resistenza. Bet’selem, un’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani, ha distribuito videocamere e fatto corsi di formazione per testimoniare le violazioni compiute dai soldati israeliani. Nariman, che filma le violenze dei soldati, dice: “non è facile partecipare alla manifestazione e nello stesso tempo riprendere, ma devo farlo, ci sono anche i miei bambini ed ho sempre paura che gli accada qualcosa, ma non posso trattenerli. Mohammed, 11 anni, da quando il padre è stato incarcerato, circa 10 mesi fa, è diventato sempre più spavaldo”. Manal e Nariman sono state in Italia per raccontare la loro vita quotidiana sotto occupazione militare, le aggressioni dei coloni, il furto delle loro terre e acqua, l’uso delle sostanze chimiche, le incursioni di notte dei soldati. “Ma siamo qui anche per rompere l’immagine stereotipata che la stampa occidentale ha fatto dei palestinesi. Ci mostrano come terroristi, noi invece vogliamo solo la libertà e un po’ di giustizia, con noi vi sono attivisti israeliani che subiscono i gas e le botte, sono nostri fratelli e sorelle. Prima per noi gli israeliani erano solo soldati e coloni, adesso invece sappiamo che tra gli israeliani vi sono persone che come noi anelano alla pace”. Manal e Nariman hanno fondato un’associazione di donne: “non abbiamo una sede, ci riuniamo nelle case, il nostro lavoro è volontario, abbiamo fatto una serra, aiutiamo le vedove, discutiamo dei nostri diritti, siamo unite e lottiamo per la nostra libertà non solo dall’occupazione militare ma anche da un sistema patriarcale. In questo siamo aiutate da uomini del villaggio che capiscono l’importanza del nostro ruolo per la crescita della comunità, alcuni di loro all’inizio erano scettici, soprattutto quando partecipavamo alle manifestazioni. Ma la terra è anche nostra e vogliamo difenderla”. Una conquista è stato il viaggio in Italia, organizzato dall’Assopace, la loro prima volta in Europa. “È stata un’esperienza straordinaria, incontrare persone che capiscono la nostra sofferenza ma anche la nostra dignità e forza e poter dire a tutti che per noi esistere è resistere”.
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