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Malalai Joya

Malalai Joya

La donna del mese -

Francesca Cutarelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2006

"In nome della democrazia e della pace, sono qui per condividere con voi l'agonia del popolo afghano". Esordisce così in un incontro alla Camera dei Deputati organizzato dal Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane e dalle Donne in Nero, Malalai Joya, deputata eletta lo scorso dicembre al Parlamento di Kabul, nelle prime elezioni libere in Afghanistan da oltre 30 anni.
Malalai Joya, 27 anni, originaria della regione di Erat e attivista per i diritti umani, è diventata il simbolo della resistenza delle donne afghane al regime dei talebani.
Negli ultimi anni è passata alla cronaca per le sue dure parole contro i "Signori della guerra", che le sono costate aggressioni e minacce, le ultime solo lo scorso 7 maggio. "Tra di voi ci sono criminali che abusano del termine jihad, che hanno ucciso migliaia di civili e distrutto il nostro Paese. Sono gli stessi uomini che non credono nei diritti delle donne e nella democrazia e meriterebbero di essere giudicati da un tribunale per i crimini di guerra" aveva detto ai 249 deputati membri del Parlamento afghano, suscitando smodate proteste. "Rapiamola e violentiamola", gridavano, in aula, uomini e donne, mentre qualche membro del Gran Consiglio era passato addirittura all'aggressione fisica con scarpe, bottiglie di vetro rotte, oggetti contundenti.
"Se avessero avuto le armi le avrebbero usate. Questi signori si sciacquano la bocca con la parola democrazia, ma i loro atteggiamenti sono tutt'altro che democratici", ha raccontato la giovane afghana alla platea romana, in cui comparivano anche alcune parlamentari. Da allora, a Malalai, che vive a Kabul ma che per ragioni di sicurezza è costretta a dormire ogni notte in una casa diversa, sono arrivate dimostrazioni di solidarietà da tutto il mondo, da associazioni per i diritti umani, da organizzazioni della società civile e da molti politici. Al Parlamento Europeo, su iniziativa di Luisa Morgantini, Presidente della Commissione Sviluppo ed Eurodeputata indipendente di Rifondazione Comunista, presente al fianco di Malalai all'incontro nella Sala delle Colonne, un gruppo di eurodeputati ha firmato una lettera di solidarietà e condanna per il grave episodio che lede in modo gravissimo i diritti umani e il difficile iter democratico avviato in Afghanistan.
La denuncia di Malalai è chiara: cita recenti rapporti di analisti afghani e di organizzazioni per la tutela dei diritti umani (Human Right Watch), secondo i quali nel Parlamento del suo Paese siedono attualmente 40 comandanti di milizie, 24 membri di gang criminali, 17 trafficanti di droga, 19 uomini accusati di violazioni dei diritti umani.
"Il 70% nostro Parlamento -dice Malalai- è costituito da ex-talebani, narcotrafficanti, assassini dell'Alleanza del Nord, criminali di guerra. Gulbuddin Hekmatyar è nella lista Usa dei terroristi più ricercati, ma il suo partito ha ben 34 membri tra i seggi del gran consiglio. Questa è la democrazia che ci è stata esportata dagli Stati Uniti".
Le accuse alla gestione americana della crisi afghana si fanno accese: Malalai punta il dito contro le connivenze tra gli Usa e gli attuali uomini al potere, i membri dell'Allenza del nord, i signori della guerra, i trafficanti di droga.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l'Afghanistan rischia di diventare un Narco-Stato. Timori, questi, fatti propri anche da testate statunitensi come il New York Times, il Los Angeles Times e il Washington Post e ribaditi chiaramente da due attuali ministri afghani.
In un paese con il 40% di disoccupazione, dove "la mancanza di servizi sanitari ha un impatto peggiore dello tsunami, con 700 bambini e tra le 50 e 70 donne che muoiono quotidianamente per la mancanza di cure, i soldi che arrivano dalla Comunità Internazionale (12 miliardi di dollari già consegnati e 10 in arrivo) finiscono spesso nelle tasche dei Signori della guerra".
Servirebbero, invece, sforzi enormi per la ricostruzione e la sicurezza di un paese ridotto in macerie. Quello di cui Malalai è certa è che il suo popolo non si fida di un Governo, quello statunitense, che sostituisce i terroristi con altri terroristi, che dialoga e protegge i criminali che tutelano maggiormente i suoi interessi, che esporta una democrazia di fatto inesistente. Di assistenza e protezione gli afghani e le afghane hanno veramente bisogno. "Gli Usa se ne vadano, gli Europei agiscano in modo autonomo e indipendente da Washington". Parola di Malalai.
(21 luglio 2006)

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