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Mahboubeh Abbasgholizadeh

Mahboubeh Abbasgholizadeh

La Donna del mese - Attivista iraniana per i diritti delle donne, sostiene che 'la cosa più importante sia esprimere la propria essenza femminile e sviluppare una coscienza di genere'

Silvia Vaccaro Lunedi, 06/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010

Mahboubeh Abbasgholizadeh ha il volto serio. I capelli sono corti, l’aria apparentemente dura e impenetrabile. Iraniana, ha iniziato a lottare insieme ad altre donne musulmane, nel 1992, fondando il gruppo di “Studi e ricerche sulla condizione della donna” che diede vita alla pubblicazione del trimestrale Farzaneh (Journal of Women’s Studies and Research), chiuso nel 2002. Dal 1994 al 2007 è stata direttrice dell’Associazione di Scrittrici e Giornaliste (NGO). Delusa dalle femministe musulmane e dalla mancanza di dinamismo nelle riforme giuridiche, si è avvicinata al femminismo secolare e collabora con le organizzazioni internazionali come la Women Living Under Muslim Laws (WLUML) e l’Institute for Women’s Empowerment (IWE). È stata arrestata più volte a causa del suo attivismo politico. A maggio di quest’anno, mentre si trovava all’estero, un tribunale iraniano l’ha condannata a due anni di carcere e trenta colpi di frusta con l’accusa di cospirazione contro la sicurezza nazionale. Attualmente vive ad Amsterdam, lontana dal suo paese e da chi è pronto a tapparle la bocca. L’ho incontrata a Roma, una delle tappe del suo viaggio in Italia, e sono rimasta affascinata dalla sua grinta, solo in apparenza misurata e razionale. “Tutto è iniziato quando ho deciso di divorziare. Mentre ero in aula, davanti ai giudici che decidevano del mio futuro, ho improvvisamente realizzato che la mia voce contava molto meno di quella di mio marito. Io potevo chiedere il divorzio ma sarebbe stato un uomo, il giudice, a decidere se potevo separarmi o se dovevo restare con una persona che non volevo più accanto. Il giudice, concesso il divorzio, stabilì che i miei due figli dovevano stare col padre, perché era un figura più importante in quanto uomo e in quanto portatore di reddito, e soprattutto era più razionale di me e quindi più capace di sapere quello che era meglio per loro. Io mi ribellai, cercando di affermare il mio diritto di madre, ma non venni ascoltata. Questa è stata la peggiore discriminazione che ho dovuto sopportare e questo mi ha portato a lottare per i diritti delle donne”. Per Mahboubeh il femminismo è diventato parte della vita, non come una corrente importata dall’occidente, ma come modo di sentire e vivere l’esistenza. “Mi definisco femminista perché credo che per una donna la cosa più importante sia esprimere la propria essenza femminile e sviluppare una coscienza di genere: dobbiamo provare a ripensare il nostro stile di vita, interrogarci sulle nostre scelte e trovare un modo condiviso per acquistare il giusto potere nella società. Credo che il femminismo in Iran o in Italia sia differente perché ci sono diversi riferimenti culturali, ma credo che le radici del femminismo si basino esclusivamente sulla coscienza di genere e sulla volontà di esprimere noi stesse”. In Iran la situazione delle donne appare complicata ed è difficile immaginare un futuro prossimo di uguaglianza e libertà. “La sfida più difficile per le donne iraniane riguarda il riconoscimento dell’uguaglianza nel diritto costituzionale e civile e l’affermazione del diritto di cittadinanza. Mi fa sperare vedere che le giovani iraniane sono pronte a lottare per questi obiettivi, e per vivere una sessualità serena e consapevole”. Come immagina l’Iran senza l’attuale presidente? “Credo che qualsiasi governo diverso da quello di Ahmadinejad baserebbe la sua esistenza sui valori democratici e laici, senza per questo perdere il senso religioso. In seguito alla rivoluzione del 1979 è iniziato un lento processo di perdita dei diritti umani e le donne sono state le più colpite. Oggi mi auguro che gli attivisti del green movement, uomini e donne, siano sensibili alle tematiche di genere. Se le persone diventano attente e consapevoli, ogni governo, secolare o religioso che sia, dovrà fare i conti con questo tipo di sensibilità e dovrà cercare di eliminare le discriminazioni basate sui pregiudizi radicati nella mentalità e nella cultura ancestrale ancora vigente”.



(6 dicembre 2010)

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