L’altra Calabria / 5 - “Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne”. Un libro dell'associazione daSud che punta a “restituire dignità a delle donne dimenticate” e a “svelare il falso mito del ‘codice d’onore’ delle cosche”
Bartolini Tiziana Domenica, 13/01/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2013
“Sono morte per l’impegno politico, sono rimaste vittime di delitti d’onore, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono morte per un accidente, sono rimaste incastrate dentro una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite ad uscire. Le abbiamo tenute insieme perché sono tutte morti riconducibili ad una causa originaria: il sistema criminale e socio-culturale delle mafie”. È condensato in poche righe il senso del volumetto, preziosissimo, che l’Associazione daSud (www.dasud.it) ha realizzato. “Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne” racconta il femminile nelle mafie - in Cosa nostra, nella ‘ndrangheta, nella camorra e nella Sacra corona unita - ed è l’universo delle vittime, delle figure più deboli e vulnerabili. Concorda con questa scelta Ombretta Ingrasci (autrice di ‘Donne d’onore. Storie di mafia al femminile’) nella postfazione, perché occorre “porre un limite alla diffusione di uno stereotipo che negli ultimi tempi sembra stia prendendo piede a causa dell’incremento di donne imputate e condannate per il 416bis e che si contrappone al tradizionale pregiudizio secondo cui le donne sarebbero estranee alle attività criminali degli uomini della propria famiglia”. Il dossier non intende “fare l’apologia della figura femminile nelle terre di mafie”, ma punta a “restituire dignità a delle donne dimenticate” e a “svelare il falso mito del ‘codice d’onore’ delle cosche”. Sono infatti più di 150 le donne uccise dalle mafie nella ricognizione che la ricerca fa a partire dal 1896, iniziando l’elenco con la 17enne Emanuela Sansone di Palermo, tanto per “sfatare un’assurda credenza: che i clan in virtù di un presunto codice d’onore non uccidono le donne”. Nella prefazione Celeste Costantino spiega che le storie raccolte “servono a capire la natura stessa delle mafie, i ‘sentimenti’ che le muovono, la cultura di cui sono portatrici, il sistema di ‘valori’ che le caratterizza, il modello sociale di riferimento in cui hanno potuto farsi strada”. Un sistema che cinicamente usa le donne in modo spietato e che il dossier mette a nudo nell’intento di suscitare un dibattito fondato sulla consapevolezza di fatti oggettivi e sullo svelamento “di tanta ipocrisia e omertà”. Oltre alle storie delle vittime e all’elenco dei Centri Antiviolenza (perché “se alcune vittime avessero potuto parlare con un Centro forse si sarebbero potute salvare”), oltre ad articoli e ad un saggio di Anna Puglisi e Umberto Santino (Centro di Documentazione Peppino Impastato), il dossier contiene testimonianze e le interviste a Rita Borsellino, Angela Napoli e Amalia De Simone. Le ricerche sono di Irene Cortese e il volume è cura di Sara Di Bella e Cinzia Paolillo. Hanno collaborato Angela Ammirati, Danila Cotroneo e Laura Triumbari.
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