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Madri e maternità nel Novecento

Madri e maternità nel Novecento

- La Grande Madre, megamostra a Milano, è visitabile fino al 15 novembre a Palazzo Reale

Flavia Matitti Venerdi, 30/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015

 Il colonnello Paul Tibbets aveva dato il nome di sua madre, Enola Gay, al B-29 che la mattina del 6 agosto 1945 sganciò su Hiroshima la bomba atomica (detta Little Boy). Certo, associare la propria madre a una simile ecatombe appare oggi un’orribile bravata, tuttavia la si può considerare una scelta emblematica, rivelatrice del fascino ambiguo esercitato dalla maternità sull’immaginario maschile e forse anche su quello femminile, se è vero che Enola Gay ne fu orgogliosa.



L’episodio, per il suo lato oscuro e inquietante, può servire a introdurre La Grande Madre, megamostra straordinaria e complessa, anticonvenzionale, psicanalitica e politica, ironica e feroce, promossa dal Comune di Milano e ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi. La rassegna, tra i principali eventi dell’autunno di Expo in città, è allestita fino al 15 novembre 2015 negli spazi di Palazzo Reale dove, al primo piano, si snoda lungo 29 sale con oltre 400 opere tra dipinti, sculture, installazioni, video e fotografie di artiste e artisti, dalla fine dell’Ottocento a oggi (il bel catalogo è edito da Skira).



Il curatore Massimiliano Gioni, 42enne direttore artistico della Fondazione Trussardi e del New Museum di New York (e nel 2013 della Biennale di Venezia) spiega che l’esposizione non vuol essere una critica alla maternità, ma al modo in cui la società patriarcale ha visto la maternità. Collegato via skype da New York il giorno della conferenza stampa, Gioni ha citato lo slogan degli anni ’70 “il personale è politico” per rivelare di essere appena diventato padre per la prima volta. Se suo figlio fosse nato prima, ha ammesso, forse la mostra sarebbe stata più sdolcinata, ma dopo aver assistito al parto è ancora più convinto che le donne siano il sesso forte.

La mostra, come in un caleidoscopio, accavalla e intreccia temi diversi. Esplora l’archetipo della madre (il titolo La Grande Madre è tratto dal libro dello psicologo Erich Neumann, discepolo di Jung) e indaga il rapporto tra le donne e il potere (Gioni cita, tra gli altri, i testi di Simone de Beauvoir, Adrienne Rich, Carla Lonzi).



Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la rassegna è pur sempre curata da un uomo, ma nell’elaborare il progetto Gioni si è circondato di donne, a cominciare da Beatrice Trussardi, che oltre a presiedere l’omonima Fondazione ha svolto un ruolo determinante nell’individuazione del tema. Va poi ricordato che nel 1980 proprio Palazzo Reale ospitò L’altra metà dell’avanguardia, curata da Lea Vergine, una mostra storica perché per la prima volta riscopriva il ruolo svolto dalle artiste all’interno dei movimenti d’avanguardia. La Grande Madre deve molto a quella mostra, ricordata in catalogo con un’interessante intervista dello stesso Gioni a Lea Vergine.



Lungo il percorso, ordinato cronologicamente e per temi, le suggestioni e gli spunti di riflessione sono molteplici. Troviamo, per esempio, una foto che immortala un anziano dottor Freud accanto alla vetusta mamma (1925); Virginia Woolf posa per “Vogue” (1926) con i vestiti della madre, perduta in giovane età; Julia Warhola, mamma di Andy Warhol, è ripresa dal figlio mentre cucina; l’inglese Gillian Wearing si fotografa nei panni di sua madre, con indosso una maschera di cera modellata sul viso di lei (è il manifesto della mostra).



In generale le avanguardie artistiche giudicano il soggetto della maternità troppo legato alla tradizione, eppure alcuni capolavori di Boccioni ritraggono proprio la mamma. E se la futurista Marisa Mori dipinge L’ebbrezza fisica della maternità (1936), la surrealista Meret Oppenheim raffigura in un delicato acquerello una donna che ha in braccio un bimbo appena sgozzato. Il titolo è Immagine votiva (1931) e per l’artista rappresentava una specie di talismano per scongiurare gravidanze non volute. Un’ampia sezione è dedicata alle battaglie femministe raccontate attraverso opere, filmati, documenti e manifesti originali; in una vetrina è perfino esposta una confezione di Anovlar, la prima pillola anticoncezionale commercializzata in Europa nel 1961. Un’altra sezione è dedicata alla guerra, dalla madrepatria che divora i propri figli, al film La ciociara (1960), fino alle madri coraggio di Plaza De Mayo.



#foto5dx#Particolarmente toccante appare, circa a metà percorso, la sala che ospita l’installazione del giamaicano Nari Ward, Grazia meravigliosa (1993), realizzata con 280 passeggini raccolti dall’artista per le strade e che parla di infanzia, ma anche di povertà. Il titolo deriva dal gospel che si sente in sottofondo, cantato da Mahalia Jackson. La mostra prosegue analizzando desideri e paure legate alla maternità, con le opere di Louise Bourgeois, Carol Rama, Nathalie Djurberg, Marlene Dumas, fino all’immaginario tecnologico del video di Pipilotti Rist.

Due iniziative accompagnano la mostra. Il progetto digitale sui social media My Mommy is Beautiful di Yoko Ono e la performance di Roman Ondák. Ogni giorno una mamma insegnerà al figlio di un anno a camminare negli spazi dell’esposizione, davvero un bel modo per affacciarsi alla vita e all’arte.



foto 1. Gillian Wearing, Autoritratto come mia madre Jean Gregory, 2003 © Gillian Wearing. Courtesy Maureen Paley, London


foto 2. Pipilotti Rist, Madre, figlio e il santo giardino milanese, 2002/2015 Courtesy Pipilotti Rist; Hauser & Wirth; Luhring Augustine, New York


foto 3. Ketty La Rocca, Vergine, 1964-1965 Estate Ketty La Rocca by Michelangelo Vasta


foto 4. Catherine Opie, Autoritratto/Allattando, 2004 Collezione privata. Courtesy Studio Guenzani, Milano


foto 5. Nari Ward, Grazia Meravigliosa, 1993 Foto Marco De Scalzi


 



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