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Madri e figlie: i 12 occhi che possono migliorare la relazione - di Maria Emanuela Galanti

Madri e figlie: i 12 occhi che possono migliorare la relazione - di Maria Emanuela Galanti

A proposito del libro di Joseph e Caroline Messinger Dizionario bilingue Madre/figlia Figlia/Madre (Ed Sonda)

Venerdi, 27/01/2012 - Catturata dal titolo, incuriosita dalla breve recensione fattane dall’ ultimo numero di Noi Donne Online, mi sono precipitata a ordinare una copia del libro di Joseph e Caroline Messinger Dizionario bilingue Madre/figlia Figlia/Madre (titolo originale Entre mères et filles. Les mots qui tuent).

Mi è bastato leggerne l’introduzione e qualcuna delle 101 voci, per accorgermi che il libro non solo non mantiene quello che promette (una migliore comunicazione tra madri e figlie) ma persino, con i suoi toni approssimativi e scandalistici, rischia di peggiorare le loro relazioni. Del resto, i due autori dichiarano candidamente nell’ introduzione di dedicarlo a tutte le figlie “che sognano di commettere il delitto perfetto, un matricidio impunito seguito da un’ assoluzione, poiché esistono madri che meritano di essere cancellate dalla faccia della terra”. Non c’ è da stupirsi allora se partendo da queste premesse faziose, barcamenandosi tra pochi dati e mal interpretati, il libro finisca con l’ essere una collezione di sentenze lapidatorie su frasi a effetto prese a prestito da blogs e rotocalchi, che incentivano le figlie a compiere il già citato matricidio (simbolico ?).

Unica perla, unica frase, in cui mi riconosco e che restituisce dignità al punto di vista delle madri è una citazione iniziale da La figlia oscura di Elena Ferrante:

"Si sa come sono le figlie, certe volte ti amano coccolandoti, certe altre tentando di rifarti daccapo, reinventandoti, come se pensassero che sei cresciuta male e ti devono insegnare come si sta al mondo."

Mi viene da pensare che attraverso le parole della Ferrante nell’ edizione italiana si tenti di bilanciare, purtroppo non riuscendoci, il punto di vista degli autori francesi (ma, sia detto en passant, è lui che scrive in prima persona, includendo talvolta la moglie in un “noi” di dubbia autenticità).

Non vorrei però entrare in polemica con gli autori del libro sposando il punto di vista delle madri a discapito di quello delle figlie, tanto più che i due punti di vista, nelle madri, si intersecano e costituiscono la fibra viva della loro genitorialità.

Più proficuo è invece domandarsi come si genera la conflittualità tra madri e figlie, assumendo (e qui mi piacerebbe sapere se ci sono risultati sperimentali di ricerche sull’ argomento che confermano l’ assunto) che la conflittualità tra madri e figlie ecceda sia quella tra madri e figli che quella tra padri e figli.

Una risposta alla domanda parte dalle diverse soluzioni al conflitto edipico (inteso in senso lato, come stadio che precede l’età adulta di separazione dai genitori) disponibili per i figli maschi e le figli femmine. I figli maschi diventano adulti, si separano dalla madre (e, per Freud, dismettono le fantasie incestuose, avendo preso sul serio la minaccia di castrazione) sottomettendosi al padre, dando potere a lui. Alle figlie femmine, per cui questa sottomissione non avrebbe senso, non rimane che l’ altra alternativa: togliere potere alla madre.

Se togliere potere alla madre è per la figlia strategia di crescita e individuazione, si capisce allora perché la conflittualità tra madri e figlie non sia qualcosa di cui le madri o le figlie hanno colpa, né l’ esito di “frasi che uccidono” o “errori di comunicazione”. Solo tra madre e figlia la separazione della figlia dalla madre comporta il superamento del duplice dato della medesima identità di genere e della originaria identificazione (non sessuata) con la fonte primaria di piacere (figura di attaccamento). La prima non è da superare tra madri e figli e la seconda non è da superare tra figli e padri. La separazione tra madri e figlie è l’ unica che opera a 360 gradi, costringendo le madri a una dolorosa e faticosa opera di ridimensionamento delle proprie proiezioni identitarie e anche, se non vogliono soccombere, a una minuziosa ricerca di altre fonti di potenziamento della propria autostima.

A questa dinamica di depotenziamento della madre ad opera di una figlia che lotta per stabilire nuove identificazioni, i coniugi Messinger dedicano solo un paragrafetto, a dimostrare con quanta disinvoltura essi trattino quello che dovrebbe essere l’ argomento principale del loro libro:

"L’ adolescente attira gli sguardi degli uomini che, di fatto, sanciscono l’ invecchiamento della madre: non è più lei a essere ammirata, ma la figlia. Una figlia, di contro, ha bisogno di staccarsi dalla madre per affermare la propria identità, cosa che avviene non senza una certa violenza. Le assomiglia talmente ! "(pag. 8)

I due autori non se la cavano meglio con la vexata quaestio della supposta preferenza da parti di madri e figlie di partners autoritari e violenti. Dopo aver riportato la testimonianza di una madre che si interroga sul perché la propria figlia abbia fatto i suoi stessi errori, sposando un uomo brutale, leggiamo:

"Si direbbe una sorta di maledizione che si trasmette di madre in figlia, un modello di coppia idealmente sadomaso che si replica nonostante le esperienze di un vissuto traumatico anteriore. La giovane figlia è “marchiata” sin dai primi anni, e il programma comportamentale installato guiderà le sue scelte fuori da ogni logica. Sarà strumentalizzata dal proprio passato" (pag. 9).

I Messinger qui confondono due questioni diverse: la replica da parte di bambini che sono stati essi stessi oggetto di violenza da parte dei padri di analoghe dinamiche vittima/carnefice nei rapporti con i loro partners (un imprinting traumatico che non fa differenza tra figli maschi e figlie femmine) e la tendenza di madri e figlie, ma anche di figlie con madri felicemente accoppiate, a scegliere partners violenti (dove ci si dovrebbe chiedere se l’ esperienza della madre sia in alcun modo determinante per la figlia). 

Data questa impressionante disinvoltura nel trattare la materia, non sorprende che i Messinger siano meno fuorvianti quando citano autori affermati. Viene riportato il punto di vista di Winnicott : i figli ricordano solo le cose andate male, non quelle andate bene. Ricordano la volta che si sono fatti male e la mamma non c’era, ma non ricordano la festa di compleanno organizzata alla perfezione dalla stessa mamma. Ma è proprio così ? Quello che negli anni ’70 Winnicott attribuisce ai figli, nell’ ultimo ventennio è stato confermato per tutti gli esseri umani adulti: paura, rabbia, dolore (segnali di cui la specie si serve nella sua lotta per la sopravvivenza) attivano velocemente più percorsi neuronali e aree cerebrali più ampie di quanto non facciano emozioni positive come la gioia.

E c’è di più. La nostra percezione, che è eminentemente una percezione visiva (finanche per i non-vedenti, se stiamo a quanto si rileva nella loro corteccia visiva) ha i fanali puntati sugli altri e ci porta a notare cosa gli altri fanno a noi (di negativo) più di cosa noi facciamo agli altri (di negativo). La madre che strattona la figlia al momento di condurla all’ asilo ogni mattina, probabilmente non nota questa come azione (di maltrattamento). Non più di quanto la figlia che lascia la camera in disordine riconosca questa come un’ azione provocatoria.

Per soccorrere la nostra percezione manchevole e aiutare la relazione tra madri e figlie (e altre relazioni a cui teniamo) può esserci d’ aiuto stabilire una routine positiva. Disegniamo su un foglietto di carta 4 occhi (occhielli), uno per le azioni positive che noi compiamo nei confronti dell’ altra persona e uno per le azioni positive che l’ altra persona compie nei nostri confronti. Facciamo lo stesso con le azioni negative, ovviamente come percepite tali da noi stesse. Mettiamo in tasca o in borsa, insieme allo specchietto per il trucco (se lo abbiamo), questo specchietto di carta per le nostre azioni e nel corso della nostra giornata, limitiamoci a segnare nell’ occhiello appropriato quante più azioni notiamo in noi e nostra figlia preadolescente o adolescente. Se nostra figlia fa lo stesso, a fine giornata potremo scambiarci i nostri quattro occhi e risultare sorprese delle diverse annotazioni sui nostri otto occhi di supporto. Potremmo, per esempio, capire che la nostra azione di comprare la bilancia per aiutarla nella dieta che lei ha deciso di intraprendere, da noi segnata tra le azioni positive, è da nostra figlia è vissuta come una forma di controllo sul suo peso. O che nostra figlia non ha segnato come azioni né la camera in disordine, né le mezzore di ritardo nei sui ritorni a casa che a noi pesano tanto.

Questo confronto può essere l’inizio di un miglioramento nelle nostre relazioni e portarci a ridistribuire meglio i nostri gesti quotidiani e, con essi, le quantità di libertà e di controllo sulle nostre figlie che ne scaturiscono.

Come dire: i nostri otto occhi di supporto cartaceo aiutano i nostri quattro a osservare meglio la relazione. Ho la certezza che i dodici occhi insieme possano fare meglio dei quattro occhi, malevoli e sarcastici, dei coniugi Messinger.



Maria Emanuela Galanti (MEG)

(sono graditi riscontri a Meg.benessere@gmail.com)

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