Martedi, 08/04/2025 - Il femminile di giornata. cinquantatre / Madre sempre e poi mamme in prima pagina
Madre e mamma, due vocaboli uguali e diversi per chiamare, ricordare, coniugare quella condizione unica e universale che in ogni terra e cultura definiscono colei che da vita. Parole difficili su cui riflettere, ma forse non aggirabili in un inizio d’aprile, quando un figlio uccide il padre per difendere la madre e due mamme terrorizzate, inebetite, coinvolte dalla violenza dei figli che hanno ucciso la ragazza che volevano per loro, e di cui rivendicavano la proprietà, accompagnano e supportano i loro figli dopo i delitti. E, contemporaneamente, pensando alle mamme di Sara ed Ilaria, le due studentesse uccise a Messina e Roma, il cui dolore a fianco dei padri, le ha gettate in una disperazione irreparabile. Bojan Panic, 19 anni studente in provincia di Trento era troppo tempo, anni, che soffriva vedendo sua madre umiliata, maltrattata, menata, senza aver mai denunciato il marito. Purtroppo è arrivato il giorno che Bojan ha avuto paura che il padre l’ammazzasse e per difenderla è lui che lo ammazza. Poi vedendolo a terra, disperatamente, cerca di rianimarlo e chiama con la madre sia l’ambulanza che i carabinieri. Un atto, quello di Bojan, che ha un precedente analogo nel 2020. Allora fu Alex che a Torino uccise il padre per difendere la madre e che poi, assolto per legittima difesa, ha deciso di prendere il cognome della madre.
Torno alle mamme di Stefano e Mark Sanson che hanno ucciso. Il primo ha ucciso Sara, e che perseguitava da tempo, mentre usciva da una lezione all’università di Messina. Il secondo, a Roma, ha ucciso Ilaria che non voleva più stare con lui ed era andata a prendere delle cose che aveva lasciato nella sua casa. Ilaria che dopo essere stata brutalmente uccisa è stata buttata dentro una valigia, in un bosco del reatino. La mamma di Mark ha confessato di avere aiutato il figlio a ripulire la stanza dove Ilaria è stata massacrata, prima che il figlio ne portasse via il corpo. Quasi in contemporanea la mamma di Stefano ha raccontato la telefonata angosciata del figlio, dopo l’omicidio di Sara, e di avere cercato di “supportarlo” psicologicamente per la disperazione che provava e pare, dopo averlo raggiunto col marito, di avere pensato di poterlo proteggere, forse, aiutandolo fuggire. Storie terribili che possiamo raccontare perché queste due madri hanno “confessato” la loro “debolezza” e che lungi sicuramente da me dal giudicare, comunque rappresentano motivo di riflessione e di un necessario tentativo di tornare a pensare quanto difficile, ma anche e sempre importante, sia la funzione delle madri anche nel nostro tempo. Pensieri ed emozioni che peraltro è impossibile disgiungere dall’immagine della mamma di Sara e della mamma di Ilaria che abbiamo guardato, interrogandoci, con rispetto e imbarazzo nel loro infinito dolore ai funerali di quelle figlie, piene di progetti e speranze, che non ci sono più.
Le storie di questi giorni di cui la cronaca ha condiviso ogni particolare dell’orrore, della violenza brutale ha permesso ancora una volta, dunque, di registrare quell’idea di possesso che anche troppi giovani sembrano condividere e che è alla base di molti femminicidi. E questo mentre altri, come figli, si ribellano alla violenza paterna e come Bojan nella solitudine e disperazione nel difendere la madre segnano dolorosamente, comunque, la loro vita. La giustizia li può assolvere per legittima difesa ma la memoria di un atto così brutale rimane, presumibilmente, un condizionamento, forse un dolore, e comunque un macigno per sempre.
Quando e da quando Giulia Cecchettin, la cui storia ha coinvolto gran parte degli italiani, fu uccisa dal suo ragazzo, perché lei pensò di accondiscendere ad ascoltarlo, temendo si facesse, lui, del male, proprio sui giovani e sui loro comportamenti riflessioni e pensieri hanno più che mai preso spazio nei giornali e nei dibattiti, anche oltre le diverse posizioni.
A tal proposito è interessante una considerazione del papà di Giulia che, intervistato in occasione di questi ultimi femminicidi di Ilaria e Sara, ha espresso una convinzione affatto scontata e che merita approfondimento. Gino Cecchettin, ha sostenuto che ciò che determina l’atto violento che uccide non è un raptus, ma la conseguenza di un processo.
Ed è seppur nella confusione delle riflessioni che ho espresso sulla cronaca dolorosa di questo inizio di primavera che vorrei tornare alle madri, alle mamme che continuano ad essere in questa società complessa e complicata riferimenti, presenze non facilmente eludibili. Un tema difficile, delicato e che fa, mi viene da dire, anche paura affrontare, per il rischio di invischiarsi in polemiche, in concetti già detti, visti, superati, banali, inadeguati ai tempi “moderni”. Eppure con tutto il senso del limite e il rischio di grandi e pericolosi fraintendimenti, la cronaca e non solo quella di questi giorni, che pur nel binomio indiscutibile della parola genitori fatta da padre e madre vede il termine mamma evocare una sua potenzialità, un’influenza comportamentale che è poi un ”potere“, non sarebbe negativo tornare a misurarsi riflettendoci, senza paura dell’accusa di retorica, banalità, inadeguatezza e tanto d’altro. Paola Ortensi
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