Vittorio De Seta - Dichiarazione Universale dei diritti Umani e il film no profit All Human Rights Vittorio De Seta: “Articolo 23. Pentedattilo” In cantiere un lungometraggio sull’Unità d’Italia.
Cosco Rosa Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008
1) OGNI INDIVIDUO HA DIRITTO AL LAVORO, ALLA LIBERA SCELTA DELL'IMPIEGO, A GIUSTE E SODDISFACENTI CONDIZIONI DI LAVORO ED ALLA PROTEZIONE CONTRO LA DISOCCUPAZIONE.
2) Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3) Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4) Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Articolo 23, Diritti dei lavoratori, “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”
“A” come Anniversario. 60° Anniversario della “Dichiarazione Universale dei diritti Umani” e cinema. Una questione mondiale e una macchina da presa made in Calabria. Una macchina da presa, ribadiamo, e dunque un’altra Donna! Venuto alla luce a Palermo e vissuto nella capitale, ma di mamma calabrese, Vittorio De Seta, il cineasta dalla silenziosa onniscienza, è il primo ad aver spento i riflettori di All Human Rights. I quattro minuti e quaranta secondi del suo cortometraggio incentrato sul LAVORO (punto primo dell’articolo 23 della “Dichiarazione Universale dei diritti Umani”) è una conferma, altra riconferma di una Calabria geniale, “aperta” e non solo arretrata. Su un progetto di Roberto Torelli dell’Associazione Rinascimento, e in occasione del 60° Anniversario della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, è venuto alla luce il film collettivo, no profit, All Human Rights che dovrebbe uscire il prossimo 10 dicembre (giornata, non a caso, dell’approvazione della “Carta dei diritti dell’Uomo”). Trenta articoli della Dichiarazione e trenta cortometraggi. Ogni regista, nel modo che riterrà più opportuno, produrrà un cortometraggio su un articolo della Dichiarazione Universale. Scesi in campo i maggiori registi e maestri del cinema italiano, “ciak si gira” (e per l’esattezza si è già girato), anche nell’Area Grecanica. Un luogo archetipico, ieratico e simbolico da sfondo al fatto che «ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione» (art. 23, “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”). Un nome presagio, che non tace sulla particolare morfologia che lo connota: una ciclopica mano con cinque dita, Pentedattilo ovvero, in provincia di Reggio Calabria.
Il regista di “Lettere dal Sahara” (film del 2005 riconosciuto d’interesse culturale nazionale dalla Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano, anche se ad oggi troppo poco valorizzato), e degli oltre 15 milioni di spettatori con i quattro episodi di “Diario di un maestro” (produzione Rai, 1973) allude ad una casualità: dopo aver partecipato, nella qualità di ospite onorario, al “Film festival 2007 di Pentedattilo” il comune di Melito Porto Salvo ha concesso il suo patrocinio. In collaborazione con l’associazione Pro Pentedattilo, la Ram Digital Film di Reggio Calabria è coproduttrice del cortometraggio del cineasta dall’eloquio carismatico quanto umile di feudo De Seta (Sellia Marina, in provincia di Catanzaro). Un’altra dimensione spazio-temporale quella di feudo De Seta. Avvolto da un’aura aristocratica di una comunicazione silenziosa e pura, non sembra conoscere (anzi disconosce) rumori, pleonastici “rumores”. Nella eleganza di una gestualità misurata quanto tendenziosa, l’universo De Seta pian piano si dischiude. E, su “Articolo 23. Pentedattilo”, qualche velo riusciamo pure a levarlo.
Scopriamo che si tratta di una storia sul lavoro. Una storia, comunque, di valori e umanità: di quella cosiddetta ospitalità che al buon calabrese non manca mai. È la storia, appunto, di un contadino calabrese che parte, lascia la sua terra (la “solita” storia!), cedendo il posto ad un africano che, invece, arriva, portandosi dietro anche gli affetti. Mentre il primo emigra, il secondo approda nel “porto sepolto”. Forze centrifughe e centripete, attrattive e repulsive: viaggio fuori “dalla” Calabria e contemporaneamente dentro, “verso” la Calabria. Una questione di lavoro, e non solo. Storia di povera gente tra gente ancora più povera: lo scacco del consumismo che non riesce a ridistribuire le ricchezze in nessun altro modo; il circolo vizioso, malato dell’emigrazione e immigrazione.
Mentre l’esperto in materia di documentari, che ha messo su pellicola Calabria, Sicilia e Sardegna, autografa All Human Rights con “Articolo 23. Pentedattilo”, l’occhio della sua mente sta già pensando ad altro, vede altro. In avanti, punta l’anno 2011. E, come se non bastasse, un altro Anniversario: il Centocinquantesimo anno dell’Unità d’Italia. La storia del brigantaggio, questa volta, quella taciuta, mascherata dai libri di storia. Entusiasta del nuovo impegno, le sue parole sanno di numeri, fanno i conti, tengono il conto delle inestimabili vittime di questa tragica storia d’Italia: «la storia meridionale - afferma infatti De Seta- dovrebbe tutta essere riscritta». Per festeggiare il Paese, alcuni progetti vogliono, per un anno intero, la prima capitale “luogo dove rivivere il passato, discutere del presente ma soprattutto sperimentare un futuro per l’Italia”. Il regista classe 1923 (premiato di recente anche dalla testata di Sonia Rocca, “Settimana di Calabria”, secondo memorial “Eleonora Pimentel Fonseca”, per aver contribuito allo sviluppo e alla tutela dell’immagine positiva della Calabria), invece, e solo come lui è in grado di fare, guarda alla storia, quella del brigantaggio (soprattutto calabrese), e quindi di altri emarginati. Il “poeta e antropologo” della dimensione popolare è esemplarmente tenace: il suo obiettivo non lo sposta di certo dal “basso”. Contro la «verità mercenaria della pubblicità» - è così che il maestro del “cinema della purezza” muove il suo attacco alla “cattiva” televisione, al cattivo uso dei media -, solo la verità vera della storia, di una storia deformata e ancora da documentare. Una storia dei non ricatti, che non conosce compromessi, ma che nella indipendenza incalza il reale, a costo della solitudine. Il cinema di Vittorio De Seta, ci sembra di capire!
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