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Mabel Bocchi, cestista da record

Mabel Bocchi, cestista da record

Il gusto della gara / 1 - Bandiera storica della Geas Sesto San Giovanni, Mabel Bocchi (classe 1953) inizia la sua carriera di cestista nella Partenio Avellino, squadra che Mabel, nel campionato 1968-1969, porta per la prima volta nella sua storia alla Se

Lanzon Paola Lunedi, 30/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012

Ha vinto otto scudetti italiani, una Coppa dei Campioni. È stata migliore giocatrice europea per diverse stagioni. Eletta nel 1974 migliore giocatrice del mondo. Ha collezionato 121 presenze nella nazionale italiana di pallacanestro. Negli anni ottanta ha partecipato a diverse edizioni de la Domenica Sportiva. In seguito è diventata collaboratrice per la Gazzetta dello Sport.

Come ti sei avvicinata allo sport e a che età?

Nasco in una famiglia di sportivi e quindi ho iniziato praticamente da subito a praticare sport. Il primo è stato la danza classica ma ad un certo punto la mia statura è diventata incompatibile con quel mondo. Sono passata quindi all’atletica e alla pallavolo. Poi ci siamo trasferiti ad Avellino, la pallavolo lì non c‘era e un’amica mi ha convinto a provare il basket. Così è iniziata l’avventura.

Quali sono i ricordi di Mabel piccola e sportiva?

Ho avuto un’infanzia felice e sempre in movimento. Per intenderci non ricordo di aver mai avuto un peluche o una bambola. Avevo tanti amici maschi e i nostri giochi erano dinamici. Mia mamma racconta che pur avendo iniziato a camminare molto tardi, i miei primi passi erano con il pallone che faceva da appoggio, ovviamente non stabile ma evidentemente indispensabile per il mio equilibrio perché se lo perdevo ruzzolavo…

Olimpiadi: evento sportivo o esaltazione del sistema capitalistico?

Le Olimpiadi sono un enorme contenitore in cui si butta una grande quantità di soldi e l’unica cosa che il presidente del Consiglio Monti ha fatto bene è stata non dare la disponibilità alla candidatura dell’Italia alle Olimpiadi del 2016. I Giochi olimpici sono lo specchio di una società che si fonda esclusivamente sul capitalismo. Altra cosa, però, è la prestazione atletica di cui rimane intatto tutto il fascino. Gli sportivi e le sportive rimangono fuori dal meccanismo del sistema olimpiade. La meritocrazia nello sport ha ancora e per fortuna un valore oggettivo, fuori dagli “inciuci”. La vita dello sportivo è forse anche un po’ fuori dalla realtà in senso generale: forse gli atleti rimangono anche un po’ bambini e a volte impreparati, una volta finita la carriera, a rientrare nel mondo reale.

Se alla parola Olimpiade accostiamo il temine Donna si aprono scenari e considerazioni con una loro specificità e complessità. Cosa ne pensi?

Le Olimpiadi non rappresentano una cartina al tornasole delle specificità femminili nel suo complesso perché lì - almeno in grande linee - uomini e donne hanno lo stesso peso e la stessa visibilità. Non è così fino in fondo, è vero, ma almeno apparentemente è così. Ci sono alcuni sport come la scherma, la ginnastica o il nuoto in cui la presenza femminile è di grandissimo valore e di alto impatto mediatico. Lì, ad esempio, la differenza non si nota. Ricordati però che le Olimpiadi si svolgono ogni quattro anni e durano solo un mese e quindi anche quel po’ di parità, di pari dignità svanisce appena si spengono i riflettori. Le atlete quindi sono destinate all’oblio. A meno che non siano molto belle. Belle e brave, il mito del capitalismo che non si occupa di indagare chi tu sia veramente.

Queste Olimpiade vedono l’ingresso per la prima volta del pugilato femminile. Cosa pensi della richiesta rivolta dal presidente della Federazione internazionale della box alle atlete di indossare gonnellini svolazzanti al posto del tradizionale completo con pantaloncini? La domanda vera è: ma siamo ancora li?

Non lo sapevo! La risposta è: quell’uomo si è bruciato il cervello! Non ci posso credere. Io insieme alle mie compagne vincemmo tanti ani fa una storica battaglia per indossare finalmente dei normali pantaloncini (quelli che vengono usati anche oggi) rifiutando i classici slip di allora, che ritenevamo molto meno dignitosi per delle atlete in campo, che volevano solo essere considerate per quello che sapevano esprimere in termini sportivi. Hanno fatto benissimo le pugili a rifiutare.

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