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Ma…donna, che pubblicità

Ma…donna, che pubblicità

Ti vendo, ti compro - Non fanno la guerra ai creativi, ma osservano l’uso del corpo della donna nelle pubblicità e sollecitano l’attenzione dello spettatore. Per farlo uscire dalla passività

Ciani Rossella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008

Nel 2004 quattro donne si sono incontrate a Bologna durante un Master di Studi di Genere. I differenti percorsi biografici e lavorativi non hanno impedito loro di trovare un linguaggio comune, le reciproche differenze sono diventate, al contrario, un fertile terreno di condivisione. Nel 2005 si è aggiunta una quinta componente. Così nasce Etichette Stupide. Hanno scelto di considerare e valutare nella giusta luce messaggi concreti così pervasivi e diffusi da venire assimilati senza quasi più essere sottoposti al senso critici ed i messaggi sottaciuti relativi alla pubblicità di genere maschile e femminile impliciti dentro ad ogni foto pubblicitaria esistente sulla carta stampata di quotidiani, mensili, etc. A questo punto la loro ricerca, trasformata in una splendida mostra itinerante, sta facendo il giro di scuole, luoghi culturali, centri sociali. “Ma…donna? Stereotipi e rappresentazioni del maschile e del femminile nell'Anno Domini MMVII". È il nome della mostra.
Una delle “etichette” ci spiega che la loro ricerca nasce dal bisogno di iniziare una riflessione sugli aspetti meno eclatanti del mondo della comunicazione ovvero su tutte quelle rappresentazioni che non danno un'immagine palesemente distorta e/o criticabile degli uomini e delle donne, ma che proprio per questo motivo si insinuano più perniciosamente nel nostro immaginario. “Il nostro lavoro non è una critica alla pubblicità o una polemica con i pubblicitari, ma una semplice riflessione sui mezzi subliminali che usano. Con profonda consapevolezza abbiamo dato alla mostra un titolo evocativo. Il 2007 è stato un anno in cui abbiamo visto amplificate degenerazioni che hanno una storia lunghissima: un anno fatto di violenze e di abusi; un anno in cui a più riprese si è esercitata la censura nei confronti della libera espressione artistica ed intellettuale; un anno in cui, ancora una volta, si è fatto un uso pubblico del corpo femminile al fine di strumentalizzarlo e renderlo oggetto. La mostra è il frutto di un lungo monitoraggio delle pubblicità apparse sulla carta stampata. Abbiamo selezionato quelle che riteniamo le campagne più significative e le abbiamo divise in sezioni che esemplificano, a nostro parere, alcuni degli immaginari attualmente più diffusi nel mondo della comunicazione pubblicitaria. Le sezioni sono introdotte da una breve riflessione, mentre ad ogni immagine è stato dato un titolo che porta in luce ironicamente il significato sotterraneo che attribuiamo al messaggio pubblicitario. Mi ripeto, l'esposizione non vuole essere un mero attacco alla pubblicità ed ai pubblicitari: è una semplificazione che non abbiamo nessuna intenzione di avallare. Crediamo che la pubblicità rifletta una cultura radicata e più o meno consapevolmente condivisa, ma pensiamo allo stesso tempo che, scostandosi solo raramente da certi stereotipi e luoghi comuni, contribuisca a rafforzare tale cultura. Proprio per questo definiamo il nostro lavoro una sovraesposizione, perché l'obiettivo, così come abbiamo scritto nell'introduzione alla mostra, è quello di sollecitare una reazione nei confronti di una rappresentazione che dà per scontato la passività dello spettatore e la sua totale identificazione. Osservare meno distrattamente ciò che ci circonda è per noi già un segnale positivo di cambiamento”.


Gli uomini preferiscono le rosse
Relazioni?

1+1=2? No, se 1 è diverso (≠) da 1.
E come al mercato non si possono pesare le banane insieme alle patate, sulla bilancia delle relazioni il potere rende i prezzi diversi. L'uomo non cerca una donna, non ne ha bisogno. Desidera altro: un'auto, i soldi, un corpo. Questa donna non ha identità, non ha volto, può addirittura non esistere, sostituita da un telaio coperto di lamiera. Disegno di un immaginario maschile che sembra costellato unicamente di tette e air bag. Specchio distorto che rimanda un'immagine unidimensionale. Nel mondo dei prodotti da acquistare è sempre l'uomo l'acquirente, lui solo apre il portafogli?

Flussi (di traffico) intensi
Donna e motori/Uomo è motori

L'automobile definisce la personalità. E' il maschio che conduce, che guida. L'auto E' il maschio. La potenza dei cavalli, la carrozzeria rappresentano l'essenza della mascolinità e rafforzano la virilità. Al maschio cacciatore sono rimaste solo le frecce, l'arco sostituito dal volante. L'uomo, di poche parole, si fa conoscere attraverso la macchina: "Guardami nei fanali, capirai chi sono". L'auto, al contrario, è estranea alla femminilità. Dotata di un'intelligenza malleabile, quando si trova ad avere a che fare con una donna, cerca di diventare più semplice, di andare incontro agli umori volubili di un essere soggiogato dai cicli naturali. L'assioma di partenza è: le mestruazioni inibiscono la capacità di condurre i mezzi, un po' come certi farmaci. Per la donna il mezzo di trasporto è un accessorio di bellezza. L'auto deve essere comoda, spaziosa e chic, ma soprattutto facile da usare, perché le donne non sono brave alla guida. Una donna non ha né la voglia né il tempo di imparare a guidare. E' così impegnata a fare shopping e a rifarsi il trucco che le resta giusto il tempo per accudire i bambini. Consoliamoci: anche madre natura ha i figli da portare a scuola.

Il frantoio della femminilità
Fuori luogo

Dopo aver preso in affitto un teatro di posa fatto di doppi e sensi e allusioni non troppo sottili al sesso, come un mago, il pubblicitario tira fuori dal cilindro pezzi di corpo femminile da accostare casualmente ad un prodotto. E' davvero questa la strada più breve e più efficace per convincere all'acquisto? Fuori luogo il linguaggio maschilista. Fuori luogo la macelleria del corpo


Lesbo (è) Chic
Ma che cos'è il "Lesbo-Chic"?! E' un esempio di come il mercato pubblicitario sia in grado di inghiottire e cannibalizzare le diversità, travestendole con un linguaggio ammiccante e provocatorio. Le donne che si sfiorano ma non si guardano, vagamente abbracciate a suggerire una certa intimità, non rappresentano un nuovo immaginario erotico femminile. Infatti, con il loro sguardo rivolto allo spettatore al di là della pagina, le donne di queste immagini ripropongono l'usurato desiderio maschile di osservare una scena di sesso fra donne. La complessità della relazione lesbica viene banalizzata ad uso e consumo del linguaggio del profitto e della cultura dell'ipocrisia.

(15 gennaio 2008)

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