Sabato, 04/03/2017 - "L’8 marzo è una giornata di lotta, non un’occasione per locali, ristoranti e fiorai di far girare l’economia….Niente fiori e cioccolatini: non abbiamo niente da festeggiare, abbiamo tutto da cambiare….sarà SCIOPERO GLOBALE DELLE DONNE. Lanciato dalle donne argentine, ha raccolto l’adesione di oltre 22 paesi al grido di 'Se le nostre vite non valgono, non produciamo'…. NI UNA MENOS!".
Così il coordinamento internazionale "a cento anni dall’8 marzo 1917"
Torniamo a San Pietroburgo dove le donne un secolo fa, per chiedere la fine della guerra, anticiparono sul calendario la rivoluzione? Oppure a New York ancor prima, nel 1908 a chiedere il pane e le rose - e il voto -, poi ancora nel 1911 dopo rogo in cui perirono 129 di noi?
Non dovremmo cercare di pensare, se femministe, di ripensarci nella realtà attuale? Uno sciopero mondiale ha bisogno di lungo lavoro e di denaro: forse usando bene le nuove tenologie e una fitta rete di relazioni non è impossibile. Ma mi domando: lo sciopero è oggi una strategia per i nostri fini? Se penso alla trasformazione radicale del processo produttivo e alla globalizzazione del sistema capitalistico (che esige modificazioni per non peggiorare ancora per salvarsi), mi trovo a non sapere che cosa suggerire per il futuro; ma sono sicura che, mentre la mitica classe operaia è in via di radicale ricomposizione per non soccombere in quanto "classe", lo sciopero non possiede più - al tempo del telelavoro, dei voucher, dell'immaginato lavoro (o reddito) di cittadinanza oppure della progressiva privatizzazione dei comparti già visibile con Uber e Amazon - la garanzia di quando il sacrificio del salario denunciava l'insostenibilità del lavoro e la violenza dell'impresa.
Anche i diritti esigono di adeguare le proprie difese alle innovazioni: se i sindacati mancano di fantasia, non possiamo, proprio noi donne che sentiamo sulla pelle le conseguenze dei tanti ritardi, non ripensare al valore simbolico della protesta tradizionale (sia nazionale che globale) che oggi rende quasi impossibile il sacrificio per le precarie e più facilmente digeribile l'onere per datori di lavoro e lavoratori stabilizzati.
Qualche anno fa sarebbe stato utile proporlo alle casalinghe: si sarebbe dimostrato che, se le donne del mondo non avessero messo nulla in tavola, lasciati i letti disfatti, il fuoco spento e i bambini per strada, il mondo va in tilt.
"Non una di meno", invece, pensa che si può ricorrere al "supporto mutualistico" di "uomini… che svolgano un lavoro di supplenza", come se l'iniziativa non avesse come obiettivo principale la violenza di genere. Se, per disperazione del non saper trovare espedienti, bisogna tornare indietro, lo sciopero di Lisistrata era una proposta probabilmente migliore.
Infatti non è proprio logico usare scioperi, presidi e picchetti perfino (l'escrache argentino che non mi piace perché è una sorta di "gogna dal basso") "a dispetto di chi ci uccide per 'troppo amore', di chi, quando siamo vittime di stupro, processa prima le donne e i loro comportamenti; di chi 'esporta democrazia' in nostro nome e poi alza muri tra noi e la nostra libertà". Per far cessare la demenza dei maschi che facevano la guerra una signora di duemila quattrocento anni fa pensava allo sciopero del letto….
N.B. Come ho detto, sono la prima a non avere proposte, ma, se, fuori dall'otto marzo (possiamo pure tenerci "fiori e cioccolatini" se per caso ce li danno). discutessimo un nostro "che fare?" Lenin pubblicò il suo nel marzo del 1902, prima ancora della rivoluzione del 1905.
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