Maggio 2012 Le idee - Costruire in concreto la cosiddetta solidarietà femminile: impresa praticamente impossibile
Iori Catia Mercoledi, 04/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2012
Si è sempre parlato della necessità di costruire in concreto la cosiddetta solidarietà femminile. Esperienza personale: è difficilissima, e comunque ci vuole carattere ed essere disposte a credere nel futuro delle donne più che in quello individuale. Ho aiutato alcune donne ad essere elette negli organismi che contano: a distanza di due anni manco se lo ricordano o meglio accampano un potere “alto e istituzionale” a cui doversi piegare che non tiene in nessun conto il passato da cui arriviamo insieme. Insomma succede alle donne ciò che accadeva alle prime generazioni di immigrati: finché si divideva il poco a disposizione e si lottava congiuntamente per un stesso ideale, tutto bene; quando poi si smarcano le differenze nel senso che grazie all’impegno di molte una riesce ad agguantare il potere, è come se una nube di caligine dorata si frapponesse tra lei e il resto del mondo, a maggior ragione se l’interlocutore è quella stessa coltre di amiche che avevano fatto quadrato intorno a lei. Il motivo? Sono ancor poche e temono di perdere la stima del grande capo maschio di cui scimmiottano il fare lobbyng: è una delle tante tesi. Non conoscono a fondo i meccanismi del potere, è un’altra spiegazione. Io credo che alla base ci sia una mancanza di autostima personale che alimenta la paura di essere superata o messa da parte. Sta di fatto che mentre gli uomini fanno rete di continuo e si aiutano reciprocamente, tra le donne la mitica sorellanza resta una grande chimera a cui aspirare ma ad oggi con scarse traduzioni nel quotidiano. Che si chiami mentoring, patronage, cooptazione, il risultato finale non cambia: i dati ci dicono che quando una donna arriva al potere, raramente promuove figure dello stesso sesso. Mi piace sentire dire da Emma Bonino che sceglie in base al merito, certo ma a parità di competenze sempre meglio una donna. Ma in politica la questione è diversa: “siamo noi a farci cooptare dai maschi invece di puntare i piedi - sono le parole di Emma - e provare a conquistare liberamente la vetta”. Ricordo che nel ‘98 o giù di lì mi ero iscritta a Emily, lobby al femminile fondata da Franca Chiaromonte. Qui a Reggio Emilia era sapientemente guidata da Elena Montecchi. All’inizio funzionò e a tutte le partecipanti pareva di avere una sorella maggiore già esperta di meccanismi elettorali per potersi mettere a bottega e imparare qualcosa. Poi ciascuna si è persa dietro le correnti e la sorellanza è andata a farsi benedire. Non desidero enfatizzare il teorema dell’Eva contro Eva, ma c’è qualcosa che non funziona. Magari nel privato la solidarietà al femminile esiste. Nel lavoro invece le donne tendono a non fare rete perché sono poche e restano vittime di un meccanismo numerico: se fossero tante il confronto invidioso verrebbe meno, e non si avrebbe paura di un sorpasso. Il correttivo? Andare alla sostanza delle cose e smetterla di perdersi tra slogan e demagogie: se c’è fiducia e ci si promuove a vicenda si può sperare, altrimenti ammettere a se stesse e alle altre che ci stiamo ingannando da sole. Che è anche peggio secondo me.
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