Giovedi, 14/06/2012 - Ho vagato per due giorni alla ricerca di tracce che non siano le immagini di crolli che la televisione tristemente cattura. Seguendo la strada che da Ferrara porta a Modena mi sono accorta poco a poco di quanto il terremoto abbia ferito, segnato, trasformato. Oltre alle morti e ai crolli esistono luoghi in cui “per sempre” resteranno crepe irreversibili. E quei luoghi li trovi negli occhi arrossati dei vecchi, nei sobbalzi dei bambini ad ogni piccolo rumore, nel “ce la faremo” ripetuto di continuo da tutti.
Non sono andata nelle “zone rosse” ho fatto tappe che corrispondevano a nomi e volti, quelli delle amiche e degli amici, e ho visto tanto. A volte molto, a volte troppo poco.
Il molto sono i giovani che si sono messi a disposizione della propria gente, i Sindaci dal volto invecchiato di vent’anni, i volontari che stanno lavorando fin dalla prima scossa, i container davanti alle fabbriche, il mercato di Finale aperto “come se niente fosse” in mezzo ai campi, perché al mercoledì c’è il mercato, le persone che anche se non ti conoscono si fermano e raccontano, parlano di quello che hanno sentito, di quello che hanno perso, di quello di cui hanno paura e poi ti augurano buona fortuna, come se lo augurassero alla propria figlia e ti invitano a mangiare o a dormire in una tenda acquistata coi propri mezzi perché “io sono stato più fortunato di altri e posso permettermela”… Il troppo poco è il vuoto nello sguardo degli anziani che sanno che non avranno il tempo per riempirlo, il nulla lanciato verso il cielo dalle torri crollate, dai campanili che si sono accartocciati come castelli di carte, dai casolari di campagna colpiti a morte che non raccontano più di un passato sereno, di feste nell’aia, di rossi mattoni di fornace.
A un certo punto della strada sapevo che avrei dovuto girare a sinistra, volevo cercare il chiesolino tra Finale e Camposanto, quello su cui qualcuno ha scritto parole con la vernice bianca tanti anni fa e che mi serviva come faro nelle giornate di nebbia. Quando scorgevo la sua ombra sapevo che ero a pochi minuti da casa. Qualcosa mi ha impedito di mettere la freccia e ho continuato senza un motivo verso Massa Finalese. Guardando il paesaggio pensavo che la mia terra che allatta il mare verde di granturco, che nutre l’oro dei campi di grano, che riempie il cuore di papaveri e pioppi non può essere così malvagia e ho visto un cartello giallo: NO GAS RIVARA.
Forse la risposta ai miei perché era quella, forse la distruzione non è cattiveria ma è un urlo di dolore, una richiesta di aiuto, un messaggio della terra-madre per chi vuole capire. Sono ignorante in materia, ma nella mia ignoranza penso che trivellazioni, vuoti, iniezioni, torture prima o poi qualcosa devono pur distruggere e quella distruzione in questo momento è nella Bassa come in altri momenti è altrove nel mondo. Di solito cerco fra le righe di tutto e nel male disperatamente cerco un messaggio che possa aiutarmi a lottare contro l’impotenza. Questa volta il messaggio è scritto a lettere grandi da tutti quelli che stanno aiutando la mia gente sul posto e da lontano. L’uomo sa distruggere per interessi economici ma sa anche ricostruire nel nome della solidarietà e dell’amore. Quindi tiriamoci su le maniche e facciamo il bene, come diceva Madre Teresa. E il bene di cui ha bisogno la mia Emilia in questo momento è un oceano. Una goccia di quell’oceano sono le scuole di Camposanto, oggi i bambini della terza media iniziano l’esame. Alcuni di loro ieri cercavano un vestito adatto fra i pacchi ricevuti in dono perché i loro sono in una casa in cui non possono entrare. A quello che ha scelto la camicia marrone e a quell’altro che ha scelto la maglia bianca mando un grosso bacio, spero con l’aiuto di tutti di riuscire anche a mandare qualcosa di concreto perché al più presto gli esami vengano fatti in scuole nuove e sicure.
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