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Ma come ti vesti?

Ma come ti vesti?

Il dress code nei regolamenti comunali. Ma solo per le donne

Giovedi, 22/08/2019 - "Ma come ti vesti?" è un programma semiserio condotto da un maestro di stile e wedding planner molto gaio con una serissima mistress, al limite del sadomaso: in ogni puntata gli amici, le amiche e talvolta i parenti della malcapitata (non mi risulta che ci siano stati uomini nella trasmissione) chiedono aiuto e consulenza ai due guru modaioli affinchè sia messo ordine in un armadio di dubbio gusto. Ogni volta è un happy end del fashion: i due decisori assoluti, dopo aver gettato nei bidoni della spazzatura ogni abito giudicato out, rimodellano il nuovo guardaroba, consegnando al mondo l’ex sciattona inguardabile trasformata in una stilosa creatura degna di approvazione.
Lacrime, abbracci, apericena e brindisi con i parenti, sigla di chiusura, ci vediamo alla prossima puntata. Missione compiuta: anche questa volta abbiamo tolto dalla strada una intollerabile mise, giustizia è fatta.
Questa è la tv, un elettrodomestico potente, certo, ma da qualche parte c’è pur sempre un telecomando e un tasto per spegnerlo. Più inquietante è quando il dress code lo si decide a colpi di regolamenti comunali e, indovinate un po’, esso riguarda principalmente le donne, soggetti immancabilmente legati a due concetti: il decoro nello spazio pubblico e la provocazione (verso i maschi).
Non stiamo parlando di regole stabilite da tribunali religiosi islamici, secondo i quali le donne devono mettere il velo o indossare niqab o burka all’esterno delle loro case per testimoniare modestia. Nemmeno si tratta di indicazioni sull’abbigliamento da adottare in luoghi specifici come le scuole, gli ospedali, alcuni ambienti di lavoro o i luoghi di culto.
No, eccoci nella civilissima Toscana, a Massa, dove è stato aggiornato il regolamento del Comune, che a fine luglio ha approvato, tra gli altri, questo articolo: “Nel territorio comunale è vietato porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo, ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo. La violazione si concretizza conqualsiasi ulteriore atteggiamento o modalità comportamentali, incluso l’abbigliamento, suscettibili di ingenerare la convinzione che la stessa stia esercitando la prostituzione”.
Siamo di fronte ad un testo di grande interesse per capire quanto profondi e radicati siano i pregiudizi e gli stereotipi di chi l’ha scritto.
Prima considerazione: secondo il regolamento del Comune è palese che una donna poco vestita, magari appariscente fisicamente e non coperta a dovere è, in automatico, una prostituta.
Seconda considerazione: sono le donne che, attraverso il suddetto abbigliamento provocante, istigano gli uomini sollecitandoil loro desiderio sessuale. Si presume, si dà per assodato ed evidente, quindi, che i maschi della specie umana siano incapaci di contenere, controllare e veicolare in altro modo la loro presunta continua erezione. L’uomo è forte, ma la carne è debole:inserire un passaggio di questo tipo nel regolamento sarebbe stato più onesto e diretto.
Sia chiaro: l’amministrazione comunale di Massa non è la prima a dettare regole sull’abbigliamento delle donne: in precedenza ci fu, all’indomani delle violenze su numerose donne nel terribile Capodanno a Colonia, il codice antistupro della sindaca Henriette Reker.
Per non parlare dei provvedimenti ‘estivi’ (qualche volta anche rivolti agli uomini, ma evidentemente più marcatamente destinati alle donne, visto che ancora non sono pervenute segnalazioni di aggressioni verso uomini a torso nudo da parte di singole donne o gruppi di esse) in alcune località balneari, con il divieto, al di fuori della spiaggia, di indossare costume o di camminare senza maglietta. 
Un’amica recentemente mi ha fatto notare che persino in casa loro, e non per strada, le donne vengono ammonite a coprirsi:”Vestiti, che ci sono degli uomini” è una frase ricorrente.
Dietro a questa necessità di controllare il vestiario femminile, che rivela come corollario scontato la ‘naturale’ propensione maschile ad una sessualità predatoria e pericolosa, dovrebbe esserci una domanda: “Che tipo di uomini abitano quella casa, passeggiano in quella strada, legiferano in quell’amministrazione comunale?”
Se davvero, come sostengono il sindaco e il vicesindaco di Massa, (molto infastiditi dalle reazioni al regolamento da parte di Gasmann e della Mannoia) una delle loro preoccupazioni è il dilagare del fenomeno della prostituzione, allora perché non volgere lo sguardo verso il cliente, operando con progetti di sensibilizzazione ed educazione pubblica che affrontino il tema della domanda di sesso a pagamento da parte di uomini sani e adulti, (spesso anche sposati e fidanzati), invece di preoccuparsi della misura delle gonne e delle scollature?
Perché è più indecorosa una minigonna rispetto ad un uomo che compra una donna, talvolta minorenne, spesso migrante, quasi sempre vittima di tratta? Dove sta davvero l’indecenza, dove è necessario il nostro sdegno, sindaco?

Monica Lanfranco
www.monicalanfranco.it
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