Bene in Comune - Una casa autogestita in cui le donne con le donne costruiscono, giorno per giorno, una nuova rete solidale. L’impegno di Action-A ha sperimentato (con successo) un servizio sociale di seconda generazione
Pistoni Milva Lunedi, 02/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012
Il passo verso il femminismo, e quindi la presa d’atto delle radici socioculturali della violenza contro le donne - e la riflessione complessiva sulle discriminazioni di genere - è venuto dopo, perché il primo passo del progetto “Lucha Y Siesta” è partito da altri percorsi. Un gruppo di donne di “Action - diritti in movimento” già attive da anni nel movimento romano di lotta per la casa ha semplicemente colto la realtà e constatato che gran parte delle persone con problemi abitativi che si rivolgevano ai loro sportelli erano donne, sostanzialmente sole anche se con figli a carico da mantenere, e spesso in fuga da situazioni di violenza domestica, e in cerca di un luogo in cui sentirsi a casa per costruire una nuova rete sociale nel gran mare della precarietà. Molte di quelle donne erano migranti e quando nel 2007 l’emergere dei dati sulla violenza contro le donne è stata strumentalizzata dal Governo, nazionale e cittadino, proprio contro i migranti e i rom le donne di Action parteciparono alla grandissima manifestazione nazionale delle donne contro la violenza di genere e poi riflettendo insieme alle migranti provarono a sperimentare una diversa idea di sicurezza. Alla inutile sicurezza armata contro la violenza sessuale, trasformata dai media e dalla politica in violenza agita dall’uomo extracomunitario e clandestino sulle donne italiane contrapposero un’idea di sicurezza sociale, per tutte e tutti. Recuperarono uno stabile abbandonato dell’Atac (l’azienda dei trasporti pubblici romani) in via Lucio Sestio, che diventò la casa delle donne Lucha Y Siesta, e diedero vita ad Action-A.
Era l’8 marzo del 2008, e il loro slogan fu "L’unica sicurezza possibile sono le donne del mondo che si autorganizzano". Da allora il progetto è cresciuto, nonostante le mille difficoltà di una casa comune autorecuperata con fatica e pazienza da donne e uomini che hanno creduto nel progetto. L'idea in fin dei conti è semplice: le donne possono sottrarsi alla violenza domestica se riescono a cambiare le proprie condizioni di vita, operazione che richiede tempi lunghi, recupero della stima di se stesse, ricostruzione di una rete sociale in cui non si è passive e possibilità di reddito autonomo. Poter vivere, senza limiti imposti dall'esterno, in una casa comune può essere un buon punto di partenza, purtroppo le strutture pubbliche istituzionali non prevedono questo tipo di percorso, e un passo in avanti, sanamente femminista, delle donne di Action-A è stato quello di riconoscersi il diritto di sperimentare questa possibilità. Da allora non si sono più fermate. La riflessione sulla condizione contemporanea delle donne si è nutrita di seminari, cineforum, incontri e soprattutto di pratiche di auto aiuto tra donne, esperienza complessa e dagli esiti che non bisogna mai dare per scontati. Tra le ultime iniziative messe in atto c'è l'impegno all'interno dell'Assemblea permanente delle donne che difende i Consultori del Lazio, e i ragionamenti, ancora in corso, su autodeterminazione e controllo del corpo, in relazione alla maternità e al lavoro. Anche l'urgenza del momento - la casa infatti è a rischio di sgombero - è un'occasione pratica di ragionamento politico femminista. Oltre alle mobilitazioni per non essere “svendute” le donne di Lucha Y Siesta in questo momento pongono il focus di ciò che stanno sperimentando proprio sul concetto di valore. Un “dare valore” che non passa attraverso il medium denaro ma che lo precede in quanto vero sostrato, pratico e poi materiale, di cui è fatta l'esistenza di tutti. Parlano infatti di valore delle relazioni sociali, di valorizzazione del patrimonio pubblico per fini socioculturali, e soprattutto del desiderio e della capacità delle donne di essere attive senza che questo tempo di attività (lavoro?) sia monetarizzato, perché si tratta di attività, e tempo, dedicati alla costruzione di reti sociali che sono preziose per tutta l'umanità, non solo per le donne.
E questa attività, che può nascere dal desiderio di partecipare alla costruzione/gestione di progetti collettivi e non solo dalla necessità di sopravvivere, ha proprio a che fare con il piacere di vivere e il recupero delle energie fondamentali per essere autonome e sottrarsi alle situazioni di violenza familiare e sociale.
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NO alla svendita di Atac
Dopo 4 anni il progetto Lucha Y Siesta è messo a serio rischio perché l'Atac, l'azienda dei trasporti del Comune di Roma, ha intenzione di vendere lo stabile. Devono valorizzare, dicono ad Atac Patrimonio, cioè vendere parte del patrimonio immobiliare a soggetti privati per fronteggiare un debito complessivo stimato di circa 320 milioni di euro - frutto delle tante gestioni che negli anni hanno accumulato debiti, e scandali -. Per il Comune di Roma la vendita è necessaria ma, dicono, le donne non saranno lasciate in mezzo alla strada. Le donne di ActionA sono contrarie alla vendita, perché il problema non è solo la loro sorte, c'è in gioco un'idea di società e cittadinanza e un'idea di valore a cui non rinunceranno. Lo stabile, che appartiene al patrimonio pubblico, dicono, è già “valorizzato” dal progetto Lucha Y Siesta. La pensa così anche Sandro Medici, presidente del Municipio X, che apprezza e sostiene il progetto e che gli attribuisce anche il valore di paradigma per le politiche sociali del Municipio. Lo descrive infatti come un’esperienza che è partita da una logica tradizionale - le occupazioni come risposta alle emergenze e al disagio abitativo - e che si è trasformata configurandosi come un servizio sociale di seconda generazione perché non solo mette a disposizione percorsi di emancipazione e di inclusione sociale ma arriva addirittura a progettare forme di produzione autonome di reddito, quindi esce dalla logica della pura assistenza e mette in atto pratiche di integrazione sociale che possono portare verso l’autonomia che proviene dal lavoro e dalla produzione di reddito. È un progetto, inoltre, che ben si integra anche con la battaglia complessiva che il Municipio sta facendo affinché il patrimonio pubblico, nonostante la crisi, sia usato per finalità pubbliche e sociali e resti a disposizione della cittadinanza, contro la svendita lucrativa a fini privati dei beni pubblici.
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