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L'ossessione del controllo

L'ossessione del controllo

La mania dei genitori moderni di avere il controllo assoluto sui figli che inizia dal momento in cui vengono a conoscenza della gravidanza.

Venerdi, 16/12/2011 - Ho letto recentemente su Internazionale, un favoloso articolo di Katie Roiphe pubblicato sul Finanacial Times sull’illusione del controllo da parte dei genitori moderni.

Non poteva trovarmi più d’accordo.

L’ovulo viene fecondato e un neogenitore comincia il viaggio nella pianificazione del figlio perfetto.

L’aumento dell’età media del primo figlio nelle coppie moderne può essere uno dei motivi per cui i neogenitori intraprendono il viaggio all inclusive nel villaggio del genitore ineccepibile; si chiamano artisti per decorare la cameretta del nascituro, si prenotano vacanze con mini-club esclusivi, si fanno preiscrizioni per gli asili migliori.

La mania del controllo mista a moralismo e preparazione al sacrificio inizia già dalle prime settimane di gravidanza, dilaga rapidamente il terrore di commettere qualche fatale errore che comprometterà irreversibilmente il futuro neonato; ci sentiamo in colpa per un goccio di vino a tavola, veniamo guardate con diffidenza se gustiamo una fetta di salame o non laviamo la verdura fresca nel bicarbonato.

Sfogliamo riviste specializzate che propongono immacolate camerette dai lindi rivestimenti, passeggini dell’ultima generazione e coltiviamo inconsciamente l’immagine del pupo perfetto dentro quella stanza perfetta.

Ancor prima che nasca abbiamo già comprato paracolpi, paraspigoli, copri prese, sterilizzatori e sigillatori di pannolini puzzolenti, nascondiamo ogni oggetto contundente nel giro di qualche chilometro e accatastiamo, spendendo capitali pur di non inventare niente, scatole di giochi che intrattengano il piccolo in ogni secondo di veglia.

Bisogna proteggere il bambino dal freddo, dai germi, dall’umidità, dalle cadute, dagli odori, dalla noia, da se stesso.

Ma proteggerlo non vuol dire risparmiargli la bruttura del mondo che lo farà crescere, la solitudine e la noia che lo renderanno più inventivo, la cattiveria degli amici che lo renderanno avveduto.

In Italia c’è una battaglia senza quartiere a germi e batteri, i saponi all’Amuchina registrano il tutto esaurito nei supermercati e la politica del togliersi le scarpe prima di entrare in casa di bambini sta spopolando anche tra i miei amici, una volta ben poco igienisti.

Non serve a niente ricordare che un po’ di sana sporcizia aiuta di più a crescere un figlio sano che non farlo vivere in un ambiente asettico; la crociata del pulito non può essere fermata.

Il problema vero è che questi genitori non riescono a staccarsi dal permanente ruolo di genitori correndo il rischio di fondere il concetto di età adulta con genitorialità; agli appuntamenti diventa sempre più raro poter esprimere un concetto o conversare “da grandi” perché l’attenzione è sempre rivolta ai figli, bisogna vedere cosa stanno combinando, soffiargli il naso quando cola, fargli rispettare il politically correct del bambino educato, soddisfare ogni estenuante capriccio dei sempre più succubi bambini.

E’ invece curioso come la mia generazione sia cresciuta nel fumo passivo di genitori giovani e allegramente incoscienti, scolavo i bicchieri con i fondi di Lambrusco che mio nonno mi faceva assaggiare, non avevo para spigoli a proteggere la mia testa e non avevo scarpine anatomiche da settanta euro il paio, eppure sono venuta su lo stesso.

Il brutto mondo l’ho conosciuto attraverso le prepotenze di amici e le ingiustizie dei famigliari, vivevo in cortile con i bambini degli altri palazzoni popolari e mia nonna si sgolava quando doveva chiamarmi, e da qualche parte spuntavo, puzzolente e sudata, spompata dal cemento di quel far west di periferia.

Quando i miei genitori invitavano a casa gli amici, noi bambini potevamo fare quel che ci pareva, mentre i grandi giocavano a carte fino a tardi noi imparavamo a conoscere il mondo dei grandi ed i primi pruriti.

Non c’erano allora i manuali che riempiono oggi le librerie dai titoli tanto ridicoli quanto assurdi: “un padre quasi perfetto”, “nascere genitori”, diciamo che forse si cercava di usare il buon senso e la legge del come si può; la vita dei bambini non era satura di attività didattiche, musicali, artistiche o sportive, vigeva la regola non scritta del tempo morto e ognuno pensava a sé.

La giornalista si chiede, ed io con lei, se tutto questo pianificare e controllare ogni aspetto della vita dei nostri figli non nasconda qualche delusione o rimpianto negli adulti stessi, un matrimonio che non funziona più come un tempo, un sogno riposto troppo alla svelta nel cassetto, un desiderio di avventura.

Lasciamo che l’istinto dei nostri figli li guidi, non sarà una sbucciatura o un raffreddore in più a renderli meno forti mentre aiutarli a saper superare le delusioni e a conoscere le imperfezioni della vita gli darà gli strumenti per diventare adulti più felici.

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