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L'onore dei maschi<br>

L'onore dei maschi

Sesso e potere - Quanti uomini si sentono "utilizzatori" di femmine? Quando prenderanno parola pubblica per dire che si sentono, che sono ‘altro’ e che non invidiano il modello del signor B?

Giancarla Codrignani Lunedi, 05/10/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2009

Dopo quest'estate terrificante per violazione dei diritti umani elementari, di persecuzione degli stranieri, di violenza contro gli omosessuali, di sessismo patriarcale ho fatto voto di non nominare più Berlusconi. Aspetto che, almeno sul piano della morale comportamentale, siano i maschi a pronunciarsi su "questo" capo del governo appartenente al loro sesso. Dovrebbe esistere, infatti, un orgoglio "di genere" anche maschile... Che è andato in frantumi nel devastante disordine sessual-politico perfino nelle amministrazioni regionali (Puglia), mentre stupri e femminicidi sembrano perfino aumentati. Mi sarebbe piaciuto che l'interpellanza presentata dalle parlamentari PD fosse stata seguita (o - magari - preceduta) da una degli uomini del Parlamento a difesa della propria dignità. Anche questa sarebbe parità, visto il degrado offerto al paese dall'ossessione del sesso mercantile e predatorio di un uomo simbolico che ha infangato il "genere maschile". Lo diceva anche la studiosa inglese Joanna Burke nelle sue interviste estive sull'Italia.

Come donna mi sono sentita moderatamente coinvolta nel discredito ricaduto sul nostro paese a causa dei comportamenti di uno (e con lui tutti i cortigiani che si fingono ministri, parlamentari. giuristi e giornalisti) che non è in grado di capire il dovere delle dimissioni come atto di correttezza istituzionale. Tuttavia mi ha indignato di più, anche per analogia con la condizione femminile, la violazione del ‘corpo’ della Costituzione e del ‘corpo’ delle leggi ai danni del ‘corpo’ sociale del paese. Il conto da pagare cadrà sulle nostre spalle.

Sono stata tra le prime che, con qualche messaggio on-line, aveva chiesto conto del silenzio delle donne, giovani e meno giovani, su comportamenti che hanno riposizionato il ruolo femminile in braccio al patriarcato (restaurato nella sua forma oscena). Ripensando i discorsi estivi attorno al letto di Putin, al viagra del vecchio, alla coca e alle escort, mi resta un grande sconcerto per la limitazione di un dibattito non indirizzato all'incostituzionalità del mercimonio delle cariche istituzionali. Per "parità" ci corre l'obbligo di dire che la compravendita del mercato elettorale è sempre stata peggio del carrierismo femminile a mezzo prostituzione, coniugio o convivenze (non dimentichiamo le "favorite" dei re) la corsa al servilismo opportunistico di gente "diversamente immorale" e disposta a pagare o a farsi pagare.

La lezione uscita dagli scandali estivi è questa: nei Parlamenti le donne possono avere incarichi perfino onesti e crescere numericamente; ma se ponessero all'ordine del giorno non i loro diritti paritari (per esempio l'età pensionabile), ma quelli sostanziali (per esempio l'inviolabilità del corpi) riceverebbero risposte platoniche (non senza - si leggano i vecchi resoconti parlamentari - dileggi verbali) e leggi inapplicabili. Mentalmente (e comportamentalmente) per molti degli "eletti" le signore sono ancora dei mares dimidiati, uomini a metà, come per i primi padri della chiesa le occultate "madri della chiesa" che presumevano di fare teologia.

Storicamente l'uomo si rassegna all'uguaglianza di sesso a patto che le donne si omologhino al modello unico. C'è, infatti, un fondamento "neutro" nella concezione del diritto e del fare giustizia che pretende l'omologazione a-sessuata per tutti; e che condiziona le stesse donne che hanno studiato gli stessi libri e ascoltato gli stessi "maestri" degli uomini a farsi involontarie complici. L'uguaglianza, secondo tutte le tradizioni di costume e di pensiero, significa che siamo uguali, ma i poveri, i lavoratori, gli immigrati (figurarsi le donne) restano discriminati perfino del linguaggio. E il patriarcato non si è estinto perché nel secolo scorso c'è stato il femminismo....

Quando andavo a scuola, le ragazze vittime delle mode volevano fare le hostess, vale a dire, secondo corretta traduzione, le inservienti sugli aerei. Adesso la moda la fa la Tv: vogliono fare le veline e non disprezzano le escort, che l'inglese vittoriano definisce "accompagnatrici" pensando alle puttane. C'è differenza quantitativa e di immagine, ma le proporzioni restano. Come una volta le cretinette erano minoranza, anche oggi la maggioranza è fatta di "brave ragazze". Con una non piccola mutazione interna allo sviluppo delle società: oggi, per esempio, l'educazione sessuale, che è sempre stata rimossa nelle famiglie, avviene - per ragazzi e ragazze - sui siti porno che offrono anche occasioni di rapporti ambigui. Le espressioni relative al sesso si sono uniformate e il "fare l'amore" passato al romantico è stato sostituito dal "fare sesso". Potrebbe andare se non fosse che la pratica ormai abituale del sesso orale potrebbe non essere una libera scelta e rappresentare una subalternità maggiore davanti a "bisogni" maschili ancora egoisti e primitivi.

Sono la prima a porre domande critiche alle giovani, consapevole, però, che in questione siamo noi, madri e nonne, noi che abbiamo "fatto le lotte" e guadagnato le leggi. Che abbiamo ingenuamente inventato il "femminismo" come se nessun altra donna prima di noi avesse impugnato le bandiere di genere. Cosa in qualche modo vera, ma troppo affidata alla certezza che le trasformazioni sarebbero state definitive e senza restaurazioni. La moda ci doveva mettere in guardia: come vestivano le mamme illuministe che idearono i salotti politici prerivoluzionari e finirono sulla ghigliottina per aver scritto i diritti della donna? abiti leggeri, sciolti, belle scollature, i capelli rialzati e senza veli... Dopo pochi decenni vestitoni ingombranti, i busti (!), cappelli amplissimi incredibilmente pieni di fiori e frutta e uccellini: erano tornate alla vita circoscritta alla famiglia, non dovevano studiare o lavorare troppo, niente diritto al voto, madri di figli per l'industria e la guerra. Il ritorno all'ordine costituito valeva per tutti, ma se le rivoluzioni e le riforme avevano fallito e se c'era stato cedimento alla violenza fascista era stato anche per aver respinto le donne.

Succede anche oggi. Gli uomini in generale, i politici in particolare, hanno continuato ad amare una forma precisa di potere fin dal grembo della madre, pur intuendo che il potere più grande di tutti, la riproduzione, non è loro. Da scienziati cercano ancora di appropriarsene, fino al masochismo di studiare il concepimento senza sperma. Nessuno, neppure nelle istituzioni e nella scienza, ha ancora percepito il valore del nostro - sempre potenziale - diverso modo di intendere il potere. Poiché invece resta gerarchico e fondato sulla forza, le donne "subiscono"; anche oggi, anche nel mondo occidentale, pur con gli evidenti vantaggi formali di essere manager ben pagate, parlamentari in numero superiore al passato, intellettuali e "rettore" universitarie o aspiranti carrieriste nell'esercito. Subiscono perché i maschi non accettano di cambiare.

Dica pubblicamente almeno qualcuno di loro che la vita, privata e politica, a cui aspirano non ha nulla a che vedere con il tizio che ho fatto voto di non nominare, che si sentono offesi e che non invidierebbero mai né lui né altri penosi "utilizzatori" di femmine. Che nella prospettiva di trasformazioni sociali ambigue intendono abbandonare la violenza nelle relazioni umane a partire da quelle con le loro donne. Che nel bisogno di cambiare il mondo, intendono recuperare le elaborazioni e le proposte dell'altro genere fin qui relegate nei ghetti accademici degli women's studies. A non aver accolto le riforme del concetto di Prodotto Interno Lordo avanzate dalle economiste, ci hanno rimesso anche loro.

Noi restiamo vulnerabili, anche perché l'operaio ha davanti il padrone, una controparte, mentre noi, davanti all'uomo, non possiamo ricorrere alla categoria amico/nemico. Ma non possiamo neppure prevedere non solo di subire, ma di fare nostra la violenza.



(5 ottobre 2009)

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