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Longevità e buona vita. La sfida da vincere

Longevità e buona vita. La sfida da vincere

demoBOOM/1 - La crescita demografica chiede una nuova organizzazione del lavoro e del welfare. E l’invecchiamento attivo diventa un must. Intervista al Professor Alessandro Rosina

Bartolini Tiziana Lunedi, 13/01/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014

“Siamo uno dei paesi che invecchiano di più al mondo insieme al Giappone. L’allungamento della vita ha prodotto cambiamenti molto repentini. Sinora abbiamo vissuto meglio rispetto al passato vincendo la sfida della longevità curando al tempo stesso la qualità della vita. Ma nulla è scontato per il futuro”. Alessandro Rosina, Professore Associato all’Università Cattolica di Milano alla cattedra di Demografia e Modelli di Population Dynamics, ha pubblicato molti studi e articoli anche sull’ingresso nella vita adulta, sulla famiglia e sulle differenze di genere e la paternità. Le sue competenze - corroborate dalle sue sensibilità - ci aiutano a comprendere gli scenari di un futuro di cui siamo già parte ma di cui stentiamo ad individuare contorni e impatti. “Sta succedendo qualcosa che deve responsabilizzarci nel riplasmare le nostre stesse vite - asserisce Rosina, che abbiamo incontrato in occasione del Festival della Salute di Pietrasanta (settembre 2013) - perché viviamo almeno 7/8 anni di più rispetto a nostri genitori e addirittura 15 rispetto ai nostri nonni”.



Questo, però, significa che tutti e tutte abbiamo maggiori opportunità…

Ci sono nuove opportunità ma anche nuovi rischi che chiedono di essere valutati e che impongono di attrezzarci per tempo. La sfida dell’invecchiamento attivo responsabilizza anche a livello individuale e occorre investire in cultura e in istruzione o avere cura degli stili alimentari e di vita in generale, occorre tenersi continuamente attivi.



Ma la longevità riguarda solo una certa fase della vita…

In effetti c’è una fase della vita che si espande sempre di più: quella definita dei giovani anziani , cioè l’età che va dai 65 ai 75/80 anni. Sempre più spesso ci si arriva in ottime condizioni di salute, con voglia di fare, con livelli di istruzione alti. Può essere una fase di vita molto appagante se la si vive nel modo giusto a livello individuale e psicologico, e all’interno di un sistema sociale e produttivo che consente di fare delle scelte positive e di cogliere le opportunità anche incoraggiando la scelta di essere attivi sia nel mondo del lavoro - ma senza esserne obbligati - sia nella società. Questo è quello che dovremmo fare perché l’invecchiamento diventi una sfida che ci consente di vivere di più e meglio e non un cataclisma che rischia di diventare un processo talmente negativo da farci arrivare ad età avanzate sempre più tristi, poveri e preoccupati per il futuro.



Sta evocando nuove ipotesi organizzative dell’organizzazione del welfare e del lavoro, ipotesi che richiedono cambiamenti profondi. Come creare la coesione sociale necessaria?

È una questione che dobbiamo affrontare. L’Italia, pur essendo uno dei paesi che invecchia di più, sinora ha fatto poco per valorizzare la popolazione anziana. Come farlo? Migliorando il contesto produttivo e le condizioni nel mercato del lavoro, consentendo ad un 55enne che vuole continuare a lavorare di poterlo fare con passione e con le competenze che gli vengono riconosciute e valorizzare, facendo in modo che ciascuno possa scegliere anche di cambiare mansioni o orario di lavoro. Insomma occorre organizzare un contesto lavorativo che si adatti alle competenze e alle esigenze della persona. Ma accanto a questo occorre un sistema di welfare che sia visto come un investimento sociale verso le persone, incoraggiandole ad essere attive e dando gli strumenti per poterlo fare, investendo nella conciliazione tra lavoro e famiglia considerando che ci sarà un sempre maggiore carico di anziani non autosufficienti con una sempre più crescente domanda di cura. Abbiamo di fronte una serie di sfide che dobbiamo affrontare con coraggio e responsabilità trovando le risposte, a livello politico, non solo attraverso il welfare pubblico ma anche attraverso la mobilitazione più generale del Terzo Settore, del privato e di tutte le energie e potenzialità che questo Paese ha e che può ancora mettere in gioco positivamente per un futuro che possa continuare a migliorare.



L’idea di flessibilità che descrive è diversa da quella che stiamo conoscendo…

È una flessibilità che va a favore delle persone e non che si rivolge loro contro, come è accaduto sinora. Le riforme che sono state fatte hanno posto vincoli e obblighi e hanno complicato la costruzione virtuosa del percorso di vita, soprattutto se pensiamo ai giovani e alle donne. Abbiamo bisogno di un concetto opposto di flessibilità, che parta da ciò che serve alle persone per fare meglio e di più quello che desiderano cogliendo ciascuno opportunità diverse in contesti diversi. La flessibilità che occorre è quella che consente di poter scegliere tra varie possibilità e adattarle in funzione dei propri obiettivi di vita o delle proprie competenze. Questa è la flessibilità che consente alle persone di fare di più e meglio ed è quello che serve per continuare a crescere e a produrre non solo benessere economico ma anche relazionale, che è sempre più importante per la qualità della vita delle persone e delle famiglie.



Le donne sono più longeve, nonostante su di loro gravi un carico di lavoro maggiore. Come le vede in questa sua analisi?

Tutto quello che diciamo vale ancora di più per le donne, protagoniste di questo grande processo di cambiamento sia perché vivono più a lungo sia perché vivono le difficoltà di valorizzazione nel mondo del lavoro; inoltre il sistema di welfare e di conciliazione che non funziona pesa soprattutto su di loro. Quindi la sfida parte proprio dal mettere soprattutto le donne nelle condizioni di fare meglio e di più nella costruzione del proprio percorso di vita. Questo è certamente uno degli aspetti su cui l’Italia, soprattutto culturalmente, deve cambiare. È indispensabile, a tal fine, che cambi la classe dirigente. E se le sfide riguardano soprattutto le donne allora va considerata un valore aggiunto la sensibilità femminile e la capacità di mettersi in sintonia con le difficoltà quotidiane. Non solo donne come destinatarie di politiche, quindi, ma donne consapevoli che producono soluzioni per far funzionare meglio questo Paese ad ogni livello.



Se le previsioni demografiche ci prospettano un futuro sempre più popolato di anziani ci aspetta un’era ‘gerontocratica’ destinata a schiacciare i giovani?

Questo è un rischio, soprattutto perché la popolazione che invecchia aumenta il peso dell’elettorato anziano e quindi si riduce quello dei più giovani; conseguentemente anche la politica tende a spostare gli interessi ed essere più attenta alle esigenze delle vecchie generazioni. È un po’ quello che è successo in Italia, accentuato anche dal fatto che la classe dirigente stessa ha una età media molto maggiore rispetto a quello degli altri Paesi.



Come si esce da questa situazione?

Riattivando sani meccanismi di ricambio generazionale. Intanto per inserire dei giovani ma, poiché un giovane non necessariamente è migliore di un anziano, anche per consentire a chi ha capacità e competenze di essere valorizzato senza vincoli particolari. Favorendo la possibilità per ciascuno - uomo o donna, indipendentemente dall’appartenenza sociale e dalla famiglia di provenienza, giovane o anziano - di trovare promozione in base alle sue doti e alla sua voglia di fare arrivando ad occupare il posto in cui può fare di più e dare il suo meglio. Questo attualmente per le donne e per i giovani non succede in Italia. Ed è una rivoluzione che ancora dobbiamo compiere.



Videointervista su: http://www.streamago.tv/general/24619/mobile-2013-09-28-12-57-23.html

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