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#London calling. La storia di Giulia, curatrice d'arte contemporanea, attivista queer e femminista m

#London calling. La storia di Giulia, curatrice d'arte contemporanea, attivista queer e femminista m

La capitale del Regno Unito, famosa per la sua eccentricità, è il laboratorio perfetto per sperimentazioni e arte col segno queer

Lunedi, 02/03/2015 -
Londra. Caschetto biondo alla Caterina Caselli, spesso coperto da parrucche voluttuose e intriganti, occhi vivi e accento modenese. Giulia Casalini, modenese, classe '88, curatrice d'arte contemporanea, è un’attivista queer e una femminista militante, Vive a Londra dal 2011, dove è arrivata per proseguire gli studi frequentando un master alla Goldsmiths University. Durante le ricerche per la tesi, comincia a studiare la cosiddetta “Community Art” in Italia e le teorie queer e il pensiero femminista, in particolare quello dell’Autonomia italiana degli anni ‘70. Un momento di approfondimento teorico che cambia la sua prospettiva radicalmente. “Sono partita per motivi di studio e per un desiderio irrefrenabile di vivere all’estero, ma con estremo timore per l’inizio di una nuova vita in una capitale che conoscevo solamente in maniera superficiale. Alla fine sono rimasta a Londra fino ad oggi, amando sempre di più la città e l’attenzione che essa rivolge verso qualsiasi tipo di diversità (in particolare di razza, genere e sessualità). A Londra mi sono potuta creare non solo una vita nuova in un ricco ambiente creativo, ma anche una professione che rispondesse ai miei obiettivi, aspirazioni ed etica personale: questo grazie ad amicizie, collaborazioni e alleanze di pensiero critico, filosofico e curatoriale sempre più estese. Infine, stando all’estero mi sono paradossalmente riavvicinata all’Italia, iniziando in prima persona dei progetti rivolti specificamente al mio paese d’origine”.



E’ dopo un viaggio in Italia che si rende conto di essere diventata femminista. “Il mio sguardo verso la realtà nella quale ero cresciuta era cambiato: la TV, le pubblicità, i discorsi che sentivo per strada, la cultura visiva e le tradizioni sociali rivelavano la natura discriminatoria, sessista e ineguale verso le donne, e verso le sessualità o gli stili di vita più eccentrici rispetto a quelli tradizionali. Pochi mesi dopo, nel marzo 2012 ho fondato, insieme a Diana Georgiou, ricercatrice alla Goldsmiths l’organizzazione femminista-queer CUNTemporary. Un'operazione di visibilità di pratiche artistiche e teoriche queer e femministe a Londra che dimostra, nonostante la tendenza dominante, mediatica e istituzionale, di eclissare questo tipo di discorso, quanto esse abbiano invece un significativo impatto politico, culturale e sociale. CUNTemporary ha iniziato le proprie attività segnalando eventi, mostre e open call, su social media e newsletter a cadenza giornaliera e mensile. L’organizzazione inoltre sviluppa eventi e programmi artistici assieme a un team internazionale di collaboratori esperti in varie discipline. Nel giro di pochi anni, abbiamo assistito a un’esponenziale crescita di collaborazioni e una sempre più visibile rivendicazione della parola “femminismo” in contesto artistico, oltre ad una forte crescita di pubblico interessato."

 

E' ormai ovvio che per operare un cambiamento culturale per la rottura dell’etero-normatività, intesa come la naturalizzazione dell'eterosessualità quale normale espressione delle relazioni sessuali, occorre intervenire su più fronti, dall’educazione nelle scuole e nelle Università alla produzione letteraria e artistica, fino alla creazione di reti e progetti transnazionali. Un’evoluzione che nasce dal desiderio di diverse soggettività di raccontarsi, esprimersi, partendo da sé. Se negli anni ’70, generazioni di militanti hanno fatto guerra al patriarcato e alle sue rappresentazioni insistendo sull’autodeterminazione delle donne quali soggetti della differenza, parte della comunità LGBTQIA, a partire dalla diffusione delle teorie queer nei primi anni ’90 in ambito accademico e, ovviamente, inserendosi all’interno della riflessione femminista, ha lavorato per scardinare l’etero-normatività. Fuori e dentro le università, gli spazi occupati, le associazioni, i luoghi femministi, sorgono gruppi che, unendo teoria e pratica, organizzano eventi e seminari, proponendo un nuovo modo di vivere le relazioni e la vita stessa, incuranti della norma sociale che li etichetta come diversi o anomali solo perché non-conformi. Collettività che spesso scelgono l’arte come territorio privilegiato di azione, dove mescolare glitter, piume, barbe, cravatte su corpi maschili e femminili, indistintamente, ma sempre con il nobile scopo di sovvertire. Del resto, che una delle più grandi femministe italiane, Carla Lonzi, fosse una critica d’arte non sarà stato un caso. Spesso – o potremmo dire sempre - l’arte anticipa ciò che verrà, dissolve il già dato, sputa sull’esistente, rovescia il tavolo, ri-crea, usando un linguaggio che avvicina, creando un contatto viscerale tra artista e pubblico, talvolta persino violento, ma sicuramente pervasivo. Abbiamo approfittato di Giulia e del suo punto di vista privilegiato per capire il legame concreto tra arte e comunità queer. 



Innanzitutto, come convive la tua attività di performer con l'attitudine da studiosa?



Non sono una performer né una studiosa. Sono una curatrice di arte contemporanea il cui processo di ricerca non può mai concludersi – e nel mio caso questo avviene spesso in maniera dialogica, non solitaria. Inoltre è mia priorità in quanto curatrice coinvolgere in prima persona il pubblico, mediandone la comunicazione attraverso quella che può essere percepita come “modalità performativa”. In un’ottica femminista e queer, ho portato avanti una pratica di vita e di lavoro che non si lascia influenzare da giudizi morali, bensì da un modello di serietà professionale che può essere applicata a qualsiasi tipo di contenuto e situazione – da una performance nei bagni pubblici in una fiera al museo di arte contemporanea, dalla galleria alla discoteca...




È nel queer che si può trovare nuova linfa per le battaglie femministe? Dove può condurre questa contaminazione? Quali sono i punti di contatto?



Le rivoluzioni sono possibili solo attraverso le alleanze: tanto è già stato fatto a livello istituzionale e sociale grazie a individui e collettivi che lavorano per una causa comune, in pensiero e azione. L’anno scorso, per esempio, la co-direttrice di CUNTemporary Diana Georgiou ha contribuito all’organizzazione del primo Pride a Cipro con una serie di eventi, assieme alle associazioni LGBT locali e internazionali. Ancora, possiamo parlare della mobilitazione di centinaia e migliaia di partecipanti a iniziative annuali come il festival Women of the World (WOW) a Southbank, Londra, o il festival/progetto One Billion Rising, che combatte la violenza contro le donne su scala mondiale, includendo sempre nuove alleanze (alla quale anche noi abbiamo partecipato come CUNTemporary), o il festival Genderotica di Roma, che ogni due anni collabora con sempre più artisti, curatori, attivisti, accademici, lavoratori del sesso da ogni parte del mondo. La nostra stessa organizzazione si basa su questo stesso principio per la creazione di nuove sinergie, reti di comunicazione e strategiche alleanze. La forza di queste alleanze rivoluzionarie può essere perciò rinnovata nel tempo solo con l’inclusione di nuove collaborazioni, che arricchiscono le prospettive del passato con nuove discussioni e punti di vista. Un esempio lo possiamo trovare oggi nella trasformazione di linguaggio: se la parola “femminismo” è carica di storia ma purtroppo anche di pregiudizi e luoghi comuni, “queer” si avvale invece di una forza trasformativa legata alla novità stessa del termine in lingua inglese. L’ombrello queer include sia alcune istanze del femminismo radicale che altri temi e soggettività ritenuti marginali, quali ad esempio la razza, le sessualità, l’etica animale, le teorie dell’affettività, la critica delle istituzioni e dei poteri prestabiliti. Queer include anche argomenti più “scomodi”, quali le pratiche anti-sociali, il feticismo, la pornografia, la disabilità, la malattia fisica e quella mentale. Il femminismo può oggi avvalersi del pensiero queer per espandere il proprio criticismo su altri campi d’azione, non unicamente legati alla categoria “donna”. Al momento in cui si decostruiscono ed espandono le divisioni binarie di genere si possono infatti trovare vari punti in comune tra queer e femminismo: il femminismo queer oggi ha per me un valore che si situa nel concetto di “femminilità” e non in quello esclusivo di “donna”. L’essere donna (o donnità/womanhood in inglese), del femminismo radicale viene così ampliato dal concetto di “femminilità” (lo metto qui tra virgolette per non associarlo a una pura categoria estetica). Seppur riferendosi al genere femminile, la “femminilità” è scorporata da ogni riferimento biologico dell’esser donna. Essa opera infatti come uno strumento di analisi del reale che produce criticalità attraverso l’esame, l’esperienza e la riappropriazione di ciò che è stato storicamente costruito come subalterno – o che costituisce una minoranza – a livello sociale, psicologico, economico e corporale. Il tipo di analisi femminista-queer parte da punti di vista meno privilegiati, non antagonisti, e aperti all’affettività, includendo la donna quanto anche altre soggettività penalizzate da una disuguaglianza alimentata dal sistema bianco, patriarcale ed eterosessista. Il femminismo e il queer indagano i rapporti di potere ed esplorano entrambi la politica derivata dalla sfera personale e del desiderio, senza dimenticare che il pensiero queer si posiziona anche dal lato della negatività e delle politiche anti-sociali che rifiutano, per esempio, la necessità dei bisogni procreativi e della formazione di strutture sociali normative quali la famiglia, anche in ambito gay.



Il queer mette al centro la rottura della logica binaria uomo/donna. È questo approccio rivoluzionario e perché secondo te? 



Sostengo che il pensiero queer abbia ampliato – e non opposto in maniera antagonistica – il femminismo radicale attraverso il superamento delle logiche binarie di genere. La forza del queer sta di fatti nello sconvolgimento della “norma” attraverso il decentramento di ogni fissità e attraverso la riformulazione delle categorie di pensiero e azione prestabilite. Riconoscere che il genere è una costruzione – o un’invenzione – è un atto tanto rivoluzionario quanto arduo da proseguire. Soprattutto in quei contesti sociali e legislativi che necessitano ancora del consolidamento di diritti e libertà individuali che vengono negati proprio sulla base del genere.



Perché hai deciso fondare un archivio? Come lo gestisci da Londra? Hai contatti con realtà italiane?



Archivio Queer Italia (AQI) è nato da un invito a partecipare in quanto gruppo curatoriale alla fiera d’arte di Verona nell’Ottobre 2013: per l’ambito italiano sono voluta partire dalla domanda “C’è queer in Italia? Se sì, dove? Che forme prende? Che significato ha in ambito italiano una parola che proviene dall’ambito anglosassone?”. Ho lanciato perciò un’open call nazionale e internazionale, cercando di includere anche la diaspora italiana e coloro che – pur non essendo italiani – hanno vissuto in Italia o sono stati direttamente influenzati dal suo contesto. Le risposte sono state sorprendenti e quello che si è iniziato a costituire è il primo “archivio” italiano di pratiche artistiche, teoriche e attiviste queer. AQI è un progetto in continua trasformazione, che destabilizza e rielabora la logica tradizionale occidentale dell’archivio, conferendogli invece una forma aperta, performativa e in costante aggiornamento. Al momento ci sto lavorando da Londra assieme all’organizzazione femminista-queer CUNTemporary che co-dirigo: il progetto AQI è infatti supportato da persone ed eventi che accadono qui a Londra (come la serata Deep Trash Italia), ma prendono la loro linfa dalla situazione in territorio italiano, con la quale siamo molto legate. Una parte del team di CUNTemporary, infatti, si dedica specialmente all’archivio: le editor sono Elena Silvestrini per la parte teorica e Angelica Bollettinari per quella artistica. Nonostante l’appoggio e sostegno costante di artisti, curatori e accademici con i quali abbiamo lavorato in passato (per ArtVerona nel 2013 e Teoremi performance festival nel 2014), siamo sempre alla ricerca di nuovi collaboratori e alleanze in campo italiano, con la speranza di conferire una solida presenza ad AQI, e un team che operi anche dall’Italia.



Quali sono i tuoi progetti per il futuro?



Il nuovo sito di Archivio Queer Italia sarà presto online, con una ricca selezione artistica e teorica queer e femminista, a cui seguirà una mappatura delle realtà ed organizzazioni in Italia che si occupano di questi stessi argomenti. Continuano inoltre le club e performance art night Deep Trash Italia, che hanno luogo a Londra e con le quali abbiamo avuto modo di conoscere e lavorare con nuove eccellenze artistiche italiane e internazionali. Altri progetti negli UK nel 2015 verteranno attorno ai temi della pornografia, sessualità e tecnologie, mentre in Italia, dal 22 al 24 Maggio, parteciperemo al festival Genderotica di Roma (Nuovo Cinema Palazzo) organizzato da Eyes Wild Drag. Nel 2016 ci sarà inoltre la seconda edizione di Teoremi, festival di performance contro le discriminazioni di orientamento sessuale e d’identità di genere, curato da Archivio Queer Italia. Il nostro obiettivo è che AQI diventi in Italia una realtà intorno alla quale individui, organizzazioni, collettivi, artist* e accademic* trovino terreno fertile per discussioni, scambi e nuove produzioni di significati e idee.

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