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#London calling. La storia di Elena, femminista e attivista glocale

#London calling. La storia di Elena, femminista e attivista glocale

L'arrivo nella capitale britannica per approfondire gli studi di genere e il successivo incontro con Mazimas.

Martedi, 02/12/2014 -
“Noi siamo i froci, siamo gli ebrei, palestinesi dell’Intifada,

siamo barboni lungo la strada,

siamo le zecche comuniste…

Noi siamo i negri, meridionali, siamo gli autonomi dei centri sociali,

siamo l’elogio della follia, siamo un errore di ortografia.

Siamo i punti dopo le virgole, siamo drogati, zingari e zoccole.”



Cadaveri vivi di Ascanio Celestini






Un ciclo di storie di donne italiane a Londra oltre la retorica mainstream che riporta solo di fughe. Di cervelloni o di disperati. Eppure, esistono altre possibili narrazioni della scelta di partire per un altro paese, della voglia di percorrere strade autonome e personali, costruite mattone dopo mattone, con fatica, inseguendo desideri e occasioni. Elena sta provando a seguire la sua. Ventisei anni, chioma folta e nera e occhi furbi, arriva a Londra tre anni fa’. “Mi ero appena laureata in Scienze Politiche a Roma Tre, e ho pensato di fare un corso di specializzazione in studi di genere.” Viene accettata in vari atenei, e sceglie di fare il Master presso il Gender Institute della London School of Economics, prestigioso ateneo nel cuore di Londra. È lì che si accorge di quello che manca agli studi di genere all’interno degli atenei italiani. “Qui il campo ha una dignità accademica, di prospettiva, di analisi.” Di certo non mancano bellee iniziative, organizzate da docenti e/o da studenti su tematiche affini a quelle che Elena ha studiato qui a Londra, ma la strada per un riconoscimento pieno (e non ancillare rispetto ai dipartimenti di lettere, filosofia, sociologia) degli women studies è lunga.

 

Anni di attivismo universitario alle spalle, durante e dopo il movimento dell’Onda nel 2008. Con altre studentesse fonda il collettivo le Facinorosse e poi entra in quello delle Ribellule, che dopo qualche tempo si sposta fuori dall’ateneo. Con loro segue un corso per diventare operatrice anti-violenza ma non fa in tempo a partecipare all’apertura di uno sportello di supporto a donne in difficoltà a Garbatella, perché intanto decide di partire. Lo sguardo si illumina quando parla delle sue compagne di lotta, ancor adesso per lei un punto di riferimento. Alcune di loro, insieme ad altre attiviste, si muovono all'interno del gruppo Cagne Sciolte, insieme collettivo e spazio liberato auto-organizzato e auto-determinato, dove praticare femminismo e lotta contro la costruzione binaria dei generi. “Loro sono per me un super-io positivo, quelle a cui rendo conto nella mia testa.” Sorelle femministe, con le quali si confronta a distanza e che ritrova ogni volta che torna a Roma. 

 

Il passaggio dal collettivo all’aula della prestigiosa LSE non è stato automatico per Elena ma le è servito per fare un balzo in avanti, per prendere coscienza dei suoi desideri, oltre che per comprendere meglio le teorie femministe. Molti spunti e un grande arricchimento teorico che Elena sentiva come necessario nel suo percorso: “Venire qui mi ha permesso di portare il dibattito anche fuori dalle discussioni tra attiviste. Sono sempre stata una secchiona, e dopo aver studiato molto da autodidatta, mi serviva una sistematizzazione del sapere, per capire quali analisi sono state portate avanti prima di me e cosa ho voglia di portare avanti io”. Racconta che durante il Master il termine più usato era problematic perché il femminismo deve criticare la realtà e le sue categorie, divenendo territorio intersezionale e creativo, nel tentativo di affrancarsi dallo sguardo colonizzatore rispetto a femminismi altri, come quelli neri, indigeni o queer. "I due aspetti, militanza e riflessione accademica, sono due aspetti che si completano e rinforzano l’un l’altro. La prospettiva militante ha molta influenza sulla mia lettura accademica delle cose e la lettura accademica a sua volta mi ha dato gli strumenti per leggere il reale e le sue concatenazioni”.



Dopo il Master e alcuni mesi di lavoro in una Charity, Elena, incontra Mazimas, un progetto che unisce le sue passioni più grandi: gender studies e cibo, inteso come “rito di socialità, eredità culturale, amore per le persone, connessione internazionale e intergenerazionale”. Un’impresa sociale fondata da una ragazza di origine greca che si propone di aiutare donne migranti o rifugiate che desiderano lavorare come cuoche o ristoratrici. “L’idea alla base dell’azione di Mazimas è quella di combattere le diseguaglianze strutturali e di ribaltare il ruolo della cucina da luogo di reclusione femminile a spazio di sperimentazione e creatività, nell’ottica di partire da quelli che sono i desideri e le competenze delle donne migranti.” Fondato nel 2012, al momento impiega cinque cuoche di vari continenti ed è supportato da un team che lavora sodo per creare per loro occasioni di crescita professionale, di guadagno e di scambio culturale.



Elena inizia prima come volontaria in cucina e dopo pochissimo tempo passa ad una posizione meno operativa e più strategica, diventando "Employment support coordinator". Una posizione che le calza come un guanto. “Mazimas è una realtà molto eccitante, un esperimento “pop-up” che sarebbe potuto nascere solo qui o forse a New York. E credo che le ragioni che hanno sostenuto la nascita di Mazimas siano tante, a cominciare dalla grande attenzione mediatica, politica e sociale che c’è in UK rispetto ai migranti e ai rifugiati. A questo aggiungi che Londra è un territorio di sperimentazione, una città molto attenta al trend, alla novità. Un luogo stimolante, pieno di giovani che già a ventun’anni sono considerati dei credibili ‘young professional’. In Italia a quell’età sei poco più che un adolescente e anche l’università funziona in maniera del tutto diversa. Io non cambierei mai la mia formazione (liceo classico e laurea in Scienze Politiche) perché credo che mi abbia fornito una solida base per affrontare i diversi aspetti del reale. Detto questo, qui l’università non ti fornisce una solida cultura generale ma ti specializza. Scegli un campo e puoi iniziare subito a lavorare.”



Al momento il team di Mazimas è impegnato in un’intensa attività di fundraising, al fine formare nuove cuoche e garantire sufficiente lavoro a tutte. Nonostante la strada in salita, Elena, innamorata di questo progetto, spera che il suo contributo si trasformi in un lavoro stabile. “Dentro di me coesistono due anime. Mi piace studiare e sto anche valutando l’idea di fare un dottorato in studi di genere, e al tempo stesso mi piace l’idea di poter agire localmente, di lavorare per cambiare percezioni ed esperienze di vita vissuta”. Sogno nel cassetto? “Portare Mazimas in Italia”.

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