Guardando a questa migrazione epocale, milioni di uomini in viaggio verso una speranza, non è difficile capire che il concetto di “frontiera”, o meglio di “confine”, è diventato pericolosamente obsoleto. E che il mondo ha bisogno di rivedere e aggiornare la geografia, poiché essa è, appunto, geo-grafia, la scrittura della terra; e dunque, il “diario” della sua esistenza.
Con i migranti in fin di vita di fronte agli occhi, e le azioni razziste che dilagano in Europa e nel mondo, è con orrore che ci sono tornate alla mente due parole tristemente storiche: “spazio vitale”. Le coniò innocentemente l'etnologo e geografo tedesco, Friedrich Ratzel (1844-1904), ma se ne appropriò immediatamente il nazismo per giustificare lo “sterminio di massa”.
A questo punto la domanda che ci dobbiamo porre è semplice: vogliamo davvero tornare indietro macchiandoci le mani di crimini contro l'umanità?
Il concetto di spazio deve essere assolutamente ridefinito. Il significato di confine, che un tempo ha assunto un valore fondamentale per il progresso stesso, tutelandoci pure dal punto di vista fisico, mentale, economico e culturale, è un'ancora di salvezza che ora dobbiamo avere il coraggio di lasciare poiché, paradossalmente, rischia di portarci a fondo. E' da molto tempo che i segnali del cambiamento sono davanti ai nostri occhi: il mondo Internet, che ha abbattuto tutte le frontiere, la tecnologia spinta, che ha abbattuto i muri del privato, gli spostamenti aerei alla portata di tutti, la mentalità dei giovani, assolutamente priva di confini, la globalizzazione che ha decretato la fine delle specificità, delle unicità per un mondo ormai tutto uguale. Un po' come la chirurgia plastica ha fatto con i volti delle star. Insomma: abbiamo il forte sospetto, quasi la certezza, che questi siano segnali che esortano a un cambiamento senza precedenti nella storia: l'abbattimento degli “sbarramenti”.
Fino a quando resteremo legati al loro ruolo ormai arbitrario, senza il coraggio di pensare a qualcosa di mai visto, non troveremo mai nuove soluzioni possibili e nuovi “spazi storici” da esplorare. Già, perché c'è una frase che da un po’ ci frulla nella testa, citata dallo scrittore Salomon in un'intervista; il grande storico della Muraglia cinese, Owen Lattimore scrisse: «le frontiere, contrariamente alle apparenze, sono fatte per impedire ai cittadini di uscire, più che per impedire agli stranieri di entrare». C'è da riflettere.
Non immaginiamo quali conseguenze ci saranno, quali sconvolgimenti politici, economici, psichici e via dicendo comporterebbe una simile rivoluzione, ma siamo propensi a credere che per l'umanità sia giunto il momento di compiere un ulteriore passo avanti per risolvere i conflitti; deve cambiare completamente lo sguardo sul mondo, ripensare la sua “scrittura”, anche attraverso la salvaguardia dell'ambiente. Insomma, bisogna osare una “visione”. L'onda umana è ormai partita, la diga potrebbe costare un Vajont di dimensioni apocalittiche.
L'umanizzazione del pianeta, forse, è destinata alla fusione di ogni cultura e sapere. All'intreccio di ogni cromosoma.
La nazione, lo stato nazione, concetto tanto caro all'Europa, è ormai uno spazio residuale che determina la nostra vita in modo spicciolo e ottuso. Bisogna rimettere tutto in discussione, creare nuove “strategie spaziali” per capire come funziona e dove va il mondo. Il nuovo tempo deve avere nuovi spazi, soprattutto mentali e tanto più grandi dei precedenti, vista la densità della popolazione e l'allungamento della vita.
E' forse questa la grande proiezione, la rivoluzione culturale che auspichiamo, ma che non riusciamo mai a inquadrare. O non ne abbiamo il coraggio.
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