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Lois Mailou Jones: scoperta e coscienza delle radici africane

Lois Mailou Jones: scoperta e coscienza delle radici africane

Retrospettiva al national Museum of Women in the Arts di Lois Mailou Jones

Martedi, 15/02/2011 -
Quando, lo scorso autunno, ho visitato il National Museum of Women in the Arts a Washington, era in corso una vasta retrospettiva dedicata a Lois mailou Jones, pittrice americana di colore vissuta tra il 1905 e il 1998. Alla sua produzione ben si conviene quanto scritto da Margaret Johnston: "Abbiamo bisogno di capire noi stesse e il nostro potenziale nel lavoro delle donne attraverso la storia e celebrare chi siamo in quanto donne",la sua pittura infatti si evolve dalla tenuità e dalla freschezza dei paesaggi di Martha Vineyard's, luogo di vacanza dei ricchi bostoniani, dove durante l'estate la madre lavorava come domestica, alla scoperta dell'arte europea. nel 1937 una borsa di studio le permette disoggiornare a Parigi, allora crogiolo delle avanguardie artistiche e faro della cultura non solo europea. Qui scopre l'arte africana, soprattutto la scultura con le sue maschere, che le suscita l'orgoglio e la consapevolezza delle sue radici.La maschera diviene la sua musa ispiratrice con il suo significato spirituale, la sua teatralità, le sue implicazioni culturali e emotive.Scrive:"Quando vedi Matisse, Picasso e Modigliani e tutti gli altri utilizzare l'influenza dell'Africa, non pensi che se ciascuno ha il diritto di usarla, lo dovrei soprattutto io?". Tornata negli U.S.A., gli anni '60 la vedono infatti impegnata anche politicamente in prima fila con i suoi studenti e alcuni colleghi della Howard University nelle battaglie del Black Art Movement. il matrimonio, poi, con un graphic designer di haiti, le apre le porte di una diversa, tragica realtà:se "Jenny" è uno squarcio di realismo privato e sociale, in "Street Vendors",la geometrizzazione delle forme, i colori squillanti rimandano ancora una volta al vitalismo africano, i visi appena delineati in cui spicca solo il bianco vuoto degli occhi, rimandano a un popolo senza voce e dunque fuori dalla storia.

Un accenno al Museo che raccoglie circa 3000 opere di artiste da Elisabetta Sirani alla scultrice Louise Nevelson a Frida Kalo. Alla fine, mi sono chiesta perché mai siano necessari musei dedicati solo alle donne; non certo per celebrare un'identità di genere, come se si trattasse di specie rare allo zoo, ma perché ancora oggi è l'unico modo per dimostrare la comune appartenenza delle artiste al mondo dell'arte che è patrimonio della cultura dell'umanità, soprattutto dopo aver letto, in una delle sale, ciò che un "certo" Hans Hofman diceva ai suoi allievi nel 1937, a proposito di un quadro dipinto da una donna: "È fatto talmente bene che non puoi pensare che sia stato dipinto da una donna"!!!

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