Pluralità di visioni - Nello spirito fondante dell’Assemblea Costituente c’era la condivisione del metodo, non del merito delle questioni
Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2008
Dialogo è la parola magica, invocata e raccomandata, che dovrebbe risolvere i contrasti e fare uscire il paese dal labirinto delle insolubili contese. Lo stesso Ratzinger lo auspica ed infatti ha accolto Berlusconi, neo-presidente del Consiglio, con espressioni di fiducia, facendosi indirettamente garante della sua figura pubblica di politico immune dagli estremismi e dunque patrocinatore del dialogo (come ha dimostrato alla Bicamerale, dove ha proseguito il dialogo fino a quando ha realizzato la difesa dei suoi interessi, e poi ha buttato all’aria il tavolo). Dialogo? Il dialogo è promettente solo se entrambi gli attori partono riconoscendo come condizioni irrinunciabili questioni di metodo, non di merito: cioè il rispetto delle opinioni altrui, l’apertura mentale, la convinzione socratica che dobbiamo essere grati a chi ci dimostra d’essere in errore perché ci ha liberati dal male. Questo lo spirito che ha animato l’Assemblea Costituente dove la pluralità e la difformità delle posizioni politiche ed ideali sono state superate solo grazie al riconoscimento reciproco di una condizione di parità. Ma purtroppo oggi in questa congiuntura così critica e problematica anche l’alto magistero cattolico è tentato dallo spirito totalizzante e non riconosce a chi difende la laicità dello stato pari dignità, né dal punto di vista morale né dal punto di vista razionale. Perché di questo si tratta quando si parla di “valori non negoziabili”. Ed infatti viviamo in un paese in cui il diritto non riesce a farsi “mite”, cioè a diventare “la via della convivenza tra le diverse concezioni della vita giusta” (Zagrebelsky), cercando di risolvere uno dei maggiori problemi costituzionali: “fin dove il legislatore può spingersi ad imporre regole uniformi che mortificano la diversità e a partire da dove, invece, le diversità devono essere rispettate”. Ma il diritto è una faccia della cultura e la cultura che la destra e i clericali hanno diffuso nel paese è quella tipica delle società chiuse e statiche i cui criteri di selezione, rigidi ed intransigenti, portano alla sclerotizzazione sociale “più conforme alla natura dell’alveare o del formicaio che a quella delle società umane, plastiche per definizione”. Ed infatti basta riflettere sulla condizione persecutoria degli omosessuali o a quella umiliante delle coppie di fatto per trarne la conclusione che “una cosa è il diritto che cristallizza una ed una sola concezione etica della vita, attraverso la garanzia prestata dal potere coattivo dello stato, un’altra cosa è il diritto che assume come valore l’autonomia morale degli individui, limitandosi a regolare i punti di contatto tra le diverse sfere di autonomia, per prevenire e reprimere i conflitti”. Un esempio lampante di negazione del “diritto mite” è la legge 40 attraverso la quale il Vaticano, in una società in cui le prospettive etiche sono plurime, ha ottenuto che una sola divenisse predominante: la sua. Altri cinque anni di governo reazionario e clericale porteranno ulteriori danni al paese perché, di fronte alle sfide epocali della globalizzazione, è illusorio, oltre che pericoloso, chiudersi nel rifugio identitario che ignora e schiaccia le differenze. Infatti l’identità deve essere “un punto di arrivo … continuamente elaborato e al quale si deve contribuire in molti e mai un punto di partenza cristallizzato nel tempo di cui qualcuno possa proclamarsi padrone e paladino“. Tutte le società sono ormai “plurali e dinamiche…sottoposte a tensioni e continue ridefinizioni” e chi denuncia la “crisi dei valori” in realtà è disturbato dalla presenza di una pluralità di valori ed ha nostalgia del tempo in cui i valori dominanti erano i suoi. Infatti dietro le esternazioni del cardinal Bagnasco, e non solo, sta il progetto regressivo di fare della religione cattolica la “religione civile” che può sollevare il paese dalla sua crisi. Una simile pretesa, al di là delle buone intenzioni, tende a realizzare un tipo di società nettamente incompatibile con quella delineata dalla Costituzione, da cui discende il principio della laicità dello stato e del pluralismo. Per tacere del fatto che scegliere come interlocutori non le coscienze individuali ma i poteri mondani, riduce il messaggio cristiano ad “un collante sociale ambiguo e mellifluo”, “a semplice morale di vita mondana, a codice di buona condotta”.
Le citazioni sono tratte da: Gustavo Zagrebelsky, "La virtù del dubbio", Laterza, luglio 2007 e G.Z., "Contro l'etica della verità", Laterza, marzo 2008
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