Domenica, 05/09/2021 - Quando il cibo non è fonte di sostentamento o anche di piacere, ma diventa l’oggetto su cui accanirsi perché non ci piace quello che vediamo nello specchio o l’ambiente circostante ci fa star male, dovremmo interrogarci di più su che tipo di società stiamo lasciando alle giovani generazioni –in particolare alle ragazze, che sono di gran lunga le vittime prime di questi meccanismi.
Perché le ragazze hanno sempre più problemi col cibo? Quali siano le risposte lo sappiamo, gli esperti ce le dicono: questa società dell’apparire genera frustrazioni, senso di inadeguatezza, autolesionismo. Non sei abbastanza “qualcosa”? I coetanei ti mettono in un angolo, ti evitano di persona e ti sbeffeggiano sui social. Non mostri luoghi esotici o non ti sai truccare? Nessuno visualizza le tue storie o le commenta. In casa neanche si accorgono che stai crescendo anche se ti forniscono abiti, cibo a volontà e l’occorrente per andare a scuola. Allora? Non resta che prendersela col cibo e iniziare a farsi del male da sole.
All’inizio è una sfida, poi si radica e fa danni enormi, sul fisico e sulla psiche, se non si interviene tempestivamente.
E “s’i” è un “si” sociale, perché tutti i soggetti che gravitano intorno a ragazze che iniziano ad avere problemi con il cibo dovrebbero mobilitarsi: genitori, nonni, zii, allenatori, istruttori, docenti, catechisti, amici. E coordinarsi, possibilmente per mettere in campo più risorse possibili. Invece non accade.
Le famiglie, spesso, se ne vergognano – perché poi? Star male non fa più parte della vita? Ma questo merita altra trattazione. Di certo la vergogna fa perdere tempo, fa cercare, anche a vuoto, vie legate alla medicina.
I medici, dal canto loro, vedono il pericolo fisico e mettono limiti –ulteriori- alla vita di queste ragazze “non fare questo”, “non fare quello”, addirittura arrivano a lottare con le istituzioni scolastiche sul monte ore per non disperdere preziose energie corporee.
E lor, stelline in crescita? Sballottate di qua e di là non sanno come muoversi e diventano sempre più confuse, sempre più grigie e tristi, piene di paura. E il problema resta lì, il peso non aumenta, il cibo resta estraneo, nemico, senza sapore, odore, colore, piacere di condividere con i propri cari. Intanto la vita va avanti, il corpo cresce ed ogni età ha le sue difficoltà relazionali, che vanno ad aggravare la già compromessa situazione.
E allora? Non ho la ricetta per risolvere il tutto, ma concordo con Galimberti che l’attenzione per l’intelligenza emotiva è progressivamente svanita, dietro ai ritmi di una società che corre a comprare, ad andare in palestra, a riempire il tempo, dietro allo sviluppo tecnologico, dentro ai telefonini, ai TikTok, ai problemi economici.
E la personcina sfugge, non sa cosa fare di fronte ai suoi malesseri, quindi inizia la caccia ad un rimedio – per poi scoprire che solo un dialogo intimo, profondo sul valore della vita che gli è stata donata, sulla persona in sé aprirà una prospettiva diversa che solo il tempo, la cura e la pazienza potranno fare la differenza.
Ecco, dunque, la responsabilità collettiva: aiutare le bambine, le ragazze a crescere consapevoli che ognuna di loro ha un valore intrinseco, che non dipende dalle dimensioni del seno o da quello che indossi, che il corpo e quello che ognuna fa con esso non è altro da quello che si è. Anche se arrivare ad una tale consapevolezza può sembrare utopico è lì che una società democratica dovrebbe tendere.
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