Giovedi, 24/03/2011 - A qualche giorno dall’incontro “La mimosa e il gelsomino”, organizzato presso l’Università di Roma Tre da COPEAM in collaborazione con il GIO, l’Osservatorio universitario sulle tematiche di genere, ho incontrato la Prof.ssa Francesca Brezzi, Presidente dell’Osservatorio e relatrice durante l’evento. Insieme abbiamo commentato alcune tematiche centrali dell’incontro, la cui riflessione era incentrata sul ruolo e sull’immagine della donna araba nello scenario attuale di rivolte popolari contro regimi autoritari
Nella sollevazione popolari tuttora in atto in alcuni paesi arabi, e anche nella partecipazione delle donne alle stesse, ha avuto molto peso la pervasività della rete. Quali sono le potenzialità del web e quali i rischi per le donne?
Il web ha dato una grande spinta alle rivolte, favorendo la partecipazione femminile. Trattandosi di uno spazio orizzontale, che si contrappone alla verticalità delle gerarchie del potere, le donne hanno maggiori possibilità di occuparlo e di rendersi visibili. Bisogna assicurarsi però che i messaggi siano più che mai trasparenti e che si produca una comunicazione “sessuata”, in cui i corpi non vengano omologati e le differenze uomo/donna non vengano appiattite. Se si intende il corpo come spazio politico, allora è necessario che anche la rete sia un luogo in cui risiedano soggettività incarnate. Non deve prevalere in alcun modo il virtuale sul reale.
Secondo la sua opinione, quali sono i punti principali che le donne arabe presenti all'incontro hanno voluto sottolineare?
Gli interventi sono stati vari, ma tutte hanno ribadito l'importanza della presenza massiccia di donne e dei giovanissimi alle rivolte popolari. Sia le tunisine che le turche, presenti all’incontro sono d’accordo sul fatto che le donne dei loro paesi siano già adesso protagoniste attive nella vita pubblica. Quello che manca però è il potere politico, e questo è un dato che accomuna i paesi del magre al nostro. È stato molto interessante ascoltare due interventi dal pubblico: ci hanno fatto riflettere su quanto sia complesso essere portatori di una cultura altra, come quella egiziana e vivere in Italia, essere giovani e non sottomesse ai maschi, ma decidere di portare il velo e di non somigliare al prototipo della donna occidentale, sempre più spesso rappresentata come una giovane rampate, aggressiva, artificiale e semi-nuda. Ascoltarle è stato ricordarsi della molteplicità delle identità delle donne arabe, che troppo spesso rappresentiamo in un unico modo.
Quello che sta succedendo in vari paesi arabi coinvolge direttamente non solo l'opinione pubblica internazionale ma anche la realtà dei singoli paesi europei che accolgono i migranti e si devono confrontare con queste identità molteplici. Come ripensare l'immigrazione in virtù di questi scenari?
È necessario ripensare al mediterraneo come uno spazio comune parlando quindi di identità “euro-mediterranea”, mettendo in luce il grande tema delle donne migranti, non trascurando ovviamente le differenze che ci sono tra loro. Bisogna dunque adoperarsi per una cittadinanza che io chiamo “cittadinanza non indifferente”, ricollegandomi direttamente alla filosofia della differenza femminista che considera la differenza una chiave di lettura del mondo e di esaltazione dell'identità sotto un cappello di uguaglianza di diritti e doveri.
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