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Lo sguardo e la parola

Lo sguardo e la parola

Quando Fausta mi ha chiamato per chiedermi di scrivere l’introduzione alla sua raccolta di poesie, prima di riagganciare, si e lasciata sfuggire: «…perchè non dire come ci siamo conosciuti?»

Venerdi, 16/01/2015 - Lo sguardo e la parola



Quando Fausta mi ha chiamato per chiedermi di scrivere

l’introduzione alla sua raccolta di poesie, prima di riagganciare,

si e lasciata sfuggire: «…perchè non dire come ci siamo

conosciuti?». Avevo già l’avvio di una prefazione che non e la

lettura di un ammiratore, né quella di uno specialista. Soltanto

la parola di un amico.

«Mi piaci!». Ecco come ci siamo veramente incontrati: con

queste due parole. Dette da lei all’improvviso nel corridoio

della scuola dove collaboravamo. Era novembre, da piu di un

mese lavoravamo in squadra, lei era il professore ed io il

Francese di passaggio. Tra una lezione e l’altra, Fausta mi ha

proposto di andare a prendere un caffè. Ho accettato: quel

caffé e diventato una pausa necessaria ed anche un momento

atteso. Di che parlavamo? Di tutto e di niente, di letteratura e

di cinema, di librerie e di caffé, degli Italiani e della Francia,

che Fausta conosce meglio di me e di molti Francesi.

In poche parole, abbiamo fatto conoscenza.

I mesi sono passati, e poi gli anni. Tra la Francia e l’Italia,

le lettere, le telefonate, i pacchetti hanno tracciato un cammino.

Quando ci davamo appunto, a Roma, era sempre in un

caffè. É qui che ho saputo che scriveva «poesie…». Me ne ha

dato una, poi due, poi una manciata: in tutte l’ho trovata. Era

lei, ma differente. Poiché tutte, in un gioco di specchi sapiente,

ma spontaneo, rinviano le une alle altre e finiscono col disegnare

il ritratto dell’autrice.

Né da troppo vicino - l’io e sempre irraggiungibile, sempre

altrove -, né da troppo lontano - certe metafore ci fanno quasi

sentire la sua pelle contro la nostra -, Fausta Le Piane evoca i

dolori sordi che lacerano come i veri istanti di pienezza. E cio,

attraverso uno spazio e un tempo che riservano molte sorprese.

Uno spazio : dei paesaggi. A considerare i collage, le foto, la

prosa e la poesia, si scopre in Fausta Le Piane una geografia

ben definita. Questa geografia e rappresentata prima di tutto

dai paesaggi urbani: il caffè, la stazione o l’albergo, questi

luoghi di passaggio sono tutti legati ad una partenza - Departure

I e II - che spesso nasconde una fuga. Una fuga che

trascina il lettore verso paesaggi assoluti: il mare in cui l’io

naufraghera, come il deserto, sono dei luoghi nei quali la

narratrice pone tutte le sue speranze. Ma attenzione, che siano

urbani o assoluti, questi paesaggi sono prima di tutto dei

paesaggi mentali: la stazione e l’idea della stazione, e, di

conseguenza, l’idea della partenza, della fuga. Allo stesso

modo, il mare, il deserto, rimandano all’idea d’immensità e al

desiderio del perdersi in questa immensità….

Un tempo: il tempo della scrittura. Le poesie e la prosa

hanno un solo tempo: il presente. Eccoci vicino a quell’io che

si affida e sfugge. Ma quale presente? Quello dell’azione?

Quello della lettura? La risposta e altrove: nel presente della

scrittura. Un tempo ripiegato su se stesso, chiuso e tuttavia in

movimento. Quando Fausta Le Piane scrive «( …) cammino

peregrina / tra i miei soffi leggeri» - Errare - quale limite

temporale fissa a questo «cammino»? Nessuno. Si tratta di

tradurre un presente…che dura. Si arriva alla vera natura dei

suoi scritti: luogo chiuso ricordiamoci che si tratta di spazi

mentali e tempo chiuso: è sotto il segno della chiusura che

sembra porsi la sua opera. E d’altronde lei stessa ci dà la

chiave della sua scrittura parlando più volte di quel labirinto

da cui l’io non può uscire e dove si moltiplicano le esperienze

«labirinto ignoto» in Rebus, «labirinto del tuo destino» in

Medusa… Il labirinto diventa una specie di giardino chiuso

simile a quel dedalo di cui Arianna (Rebus) è l’eroina.

Locus raramente amoenus fatto di naufragi, di pietrificazioni,

di partenze senza ritorni, di piccole e grandi violenze,

ma, prima di tutto, luogo di solitudine in cui si esercita

appieno lo sguardo primo legame col mondo. Ed è attraverso

questo sguardo «Il mistero dello sguardo », Taxi che passa la

ricerca. La ricerca del desiderio.

Ricerca del desiderio. In Fausta Le Piane, tutto si costruisce su

e a partire dal desiderio. Il desiderio che rinchiude nel labirinto, il

desiderio che, a poco a poco, costruisce questo labirinto. Il

desiderio come matrice di questo mondo che si spiega dinanzi a

noi, un mondo di storie. Perché in questo mondo chiuso, dal

tempo unico il presente “la parola non è la cosa, ma un lampo

alla cui luce la si scopre”1. E in contesto la chiusura stessa

favorisce la moltiplicazione delle immagini di cui le parole non

sono che il punto di partenza e il lettore, un contenitore.

La parola: un'espressione del desiderio. Qui, come altrove in

poesia, si potrebbe avvicinare la parola poetica all’ atto compulsivo

psicoanalitico: una parola liberata perché così dev’ essere,

perché non è possibile altrimenti.

Questa parola - il “lampo” di cui parla Diderot è un soffio

che esposta fuori e/spressa -, consegnata all’ Altro. La poesia,

luogo di passaggio e oggetto che ci si passa, fa nascere nel lettore

- il destinatario - moltitudini di immagini, proprio come un solo

fuoco d artificio, lanciato nel cielo in festa, fa apparire una

miriade di forme e di colori…

Sono queste immagini, nate alla luce e dalla luce della parola,

che troveranno posto nel lettore vi si imprimeranno e formeranno

in lui le figure del desiderio. Infine, da questo giardino chiuso di

cui l autrice, il lettore e il desiderio sono nello stesso tempo il

motore e la posta in gioco, Fausta Genziana Le Piane giunge a

creare un mondo in cui l infinitamente grande affianca l infinitamente

piccolo, in cui l idea stessa di chiusura esplode. Non c è

più spazio, non c è più tempo. Lo scopo è dunque raggiunto: la

scrittura e l opera creativa in genere è in cammino per ingannare

ed allontanare la morte.



Patrick Blandin, Université de Toulouse et de Bordeaux



1 Denis Diderot, in “Oeuvres complètes”, III

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