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L'io al centro del mondo

L'io al centro del mondo

Intervista a Mauro Ferrari - Con Mauro Ferrari si chiude la ricerca sulla poesia delle donne nel Novecento che ha coinvolto poetesse, direttrici di riviste del settore e critici

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2006

Le domande poste nelle varie interviste di questo ciclo, sempre le stesse per consentire un raffronto tra posizioni anche molto diverse, sono state rivolte a donne e uomini nella convinzione che fosse importante coinvolgere nel dibattito critico anche questi ultimi. Una valutazione su questa ricerca la lasciamo alle lettrici e ai lettori di noidonne. Varrà una sola notazione: tutti si sono più o meno espressi per l’inesistenza di una categoria letteraria di “poesia femminile” a favore di un concetto di “poesia scritta da donne”. Esistono cioè donne che scrivono poesia, a volte di grande qualità. Più o meno come i colleghi uomini: la parità dei sessi insomma, con la differenza che se è difficile distinguere i temi e gli stili della poesia scritta da donne, è sicuramente più facile riconoscerne una discriminazione sul piano editoriale. Mauro Ferrari, poeta, scrittore e saggista. Ha pubblicato le raccolte poetiche “Forme” (1989), “Al fondo delle cose” (1996) e "Nel crescere del tempo” (2003); i racconti “Storie da Novi” (1994); e un volume di saggistica “Poesia come gesto, appunti di poesia” (1998). È direttore della rivista di poesia “La Clessidra” e direttore artistico della casa editrice Joker.



Secondo Lei esiste la categoria di poesia femminile, con specifiche sue caratteristiche e peculiarità di temi affrontati?

È difficile parlare di “poesia femminile” come una categoria a se stante senza incorrere in strali più o meno giustificati. Si può dire che la poesia è già tanto frammentata che non c’è bisogno di un’ulteriore suddivisione; si potrà anche dire, al contrario, che il fenomeno poesia è tanto universale da non sopportare aggettivazioni così banali e non letterarie. L’unica cosa che conta è la qualità, anche a costo di abbattere barriere di genere, suddivisioni, scuole, sessi ecc, ecc.

Però, se è vero che nell’ottanta per cento dei casi è possibile dire con una certa sicurezza chi ha scritto un testo (ed è così), allora vuol dire che qualche tratto distintivo deve pur esserci. Io ne sottolineerei due, a volte opposti a volte convergenti, che credo connotino con una certa frequenza (ma non so con quale utilità e a che fine critico) non tanto una “scrittura al femminile”, bensì una donna che scrive poesia. Il primo è una attenzione parossistica al problema dell’identità, dell’Io, o diciamo una cura peculiare nel porre l’Io intimo e privato al centro del proprio mondo più che come punto di vista da cui osservare un mondo. Il secondo tratto frequente mi pare essere un’attenzione estrema verso forti connotazioni espressive: una espressività che, è ovvio, è sì collegata alla ricerca e affermazione identitaria del primo punto, ma che a volte cozza con tanta (non)poesia (femminile e maschile) di pura “comunicazione dei sentimenti” […].



Qual è lo stato di salute della poesia scritta da donne? Riscontra una discriminazione rispetto agli uomini?

Lo “stato di salute” direi che è buono, almeno se si considera il parallelo e innegabile crollo della centralità epistemologica della poesia, che si è avviato due secoli fa e che adesso sta intaccando la stessa motivazione dello scrivere. Discorso lungo e complesso, comunque. Alla seconda domanda risponderei di no, almeno a prescindere da casi singoli che, comunque, sono anche riscontrabili per gli uomini. Piuttosto, io credo che la supposta editoria nazionale abbia fatto non poche scelte idiosincratiche e contingenti: in una parola, errate e false: molte delle migliori poetesse oggi pubblicano con editori minori. Ma questo forse vale, allo stesso modo, per gli uomini.



Proponendo un canone al femminile del Novecento che nomi farebbe?

Marisa Rosaria Madonna, Biagia Marniti, Daria Menicanti e Fernanda Romagnoli. E poi vorrei dare un piccolo, non esaustivo, elenco personale di poetesse che valgono più di altre giubilate da certa editoria e critica, e che invece naufragano nell’insipienza e nella banalità (qui permettetemi di non fare nomi). Citerei almeno Valeria Rossella, Gabriela Fantato e Anna Maria Farabbi. Fra le più giovani, ma ben attrezzate e in possesso di una forte cifra personale, evidenzierei Silvia Zoico e Roberta Bertozzi: due nomi da cui è lecito attendersi un libro di peso, spero al più presto.

(6 ottobre 2006)

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