Antiche avanguardie - Una donna coraggiosa che condusse battaglie per gli ideali di libertà e giustizia in cui credeva. Idee che era difficile sostenere perfino all’interno del suo partito
Anna Salfi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2007
Centoventi anni fa nasceva Lina Merlin, veneta, laureata in lingue straniere, insegnante di francese alle scuole medie, militante e dirigente del Partito socialista italiano, senatrice del Parlamento e componente dell’Assemblea Costituente.
Una donna che amava molto le donne e che fece tanto per loro, per la loro e la nostra libertà; una donna che, al tempo stesso che detestava, a suo dire, in ugual modo le ”isteriche e le salottiere”.
Molto probabilmente, continuerà a passare alla memoria e alla storia solo o principalmente per aver proposto, sostenuto e determinato la chiusura delle case di tolleranza in Italia, ma è bene ricordare di lei anche altre tappe importanti della sua vita politica e i tratti fondamentali e assai attuali della sua personalità.
Un forte carattere faceva di lei una donna libera e ribelle, ironica e attiva, dotata di particolare coraggio e tenacia e stretta da un profondo legame alla sua terra, il Polesine.
Particolarmente nota è una sua foto che la ritrae, già senatrice, in stivaloni di gomma mentre si prodiga nel prestare aiuto alle gente della sua terra durante la famosa alluvione del 1951 ad Adria.
La sua determinazione non ne escludeva il sorriso e l’allegria; era una donna che, pur completamente assorta nell’impegno politico, non disdegnava ed anzi curava particolarmente alcuni aspetti molto femminili: nota era a tutti la sua passione per il bel vestire e la scelta dei suoi cappellini era nutrita e famosa.
Risale al 1933 l’incontro fortunato con un Dante Galliani, deputato socialista polesano che morirà solo tre anni dopo, ma che fu per lei marito tenero e compagno nella lotta politica.
Svolgeva il suo personale impegno politico con particolare serietà e dedizione ed era nota per l’impegno con cui preparava i suoi pungenti discorsi parlamentari dimostrandosi particolarmente agguerrita e battagliera anche se fu sempre personalmente e profondamente orientata alla pace al punto di definirsi da sola una combattente “pacefondaia”.
La sua vita fu interamente dedicata agli ideali di libertà e giustizia che in maniera convinta praticava nell’impegno politico e all’interno del Partito socialista italiano dove le sue idee e il suo modo di intendere non trovarono sempre facile vita.
Nel 1926 a due anni dal delitto Matteotti, quando il regime fascista aveva cominciato a mostrare più chiaramente il suo spirito tirannico, subì la decadenza dall’impiego per le sue idee e dovette sopportare cinque anni di confino in Sardegna, dove solo grazie alla sua vitalità indiscutibile, riuscì a prodigarsi verso la popolazione locale e a fare della sua condanna un’ennesima occasione di militanza.
Non furono pochi a ritenere che fosse “una donna che non sapeva stare al suo posto” anche se trovò profonda amicizia ed intesa in Sandro Pertini, Carla Voltolina, Lelio Basso e praticò a tal punto la sua coerenza da ritirarsi autonomamente a vita privata quando gli spazi e le ingiustizie subite all’interno del suo partito, che pure amava e che non rinnegò, divennero particolarmente stretti ed impraticabili.
Costruì buoni e reciproci rapporti con le compagne ed i compagni dell’allora Partito comunista italiano che in molteplici occasioni le tributarono stima ed affettuoso sostegno, ma fu anche convinta aderente alla corrente socialista autonomista e riformista. Fu tra le fondatrici dell’UDI (Unione Donne Italiane) e assunse la direzione della rivista “Difesa delle lavoratrici” che affrontava, in particolare anche attraverso la sua penne intensa ed arguta, gli aspetti della condizione di lavoro delle donne dell’epoca.
E’ a lei che si deve la cancellazione dagli atti dello stato civile dell’odioso “NN” che contraddistingueva una nascita da genitori sconosciuti, così come disposizioni che parificavano le condizioni tra figli legittimi e figli illegittimi ed adottivi e la stessa abolizione del licenziamento per causa di matrimonio che incombeva sulle lavoratrici nella vita di allora.
Queste sono solo alcune tra le principali innovazioni legislative da lei conquistate e che ne dimostrano la sensibilità e la laicità con la quale si avvicinava ai temi della maternità e della famiglia che sempre si sforzò di vedere nella sua dimensione dinamica ed evolutiva.
Prestò sempre attenzione ai diritti delle donne nel lavoro, ma a lei si deve, in particolare, la dizione dell’art. 3 della Costituzione italiana nella parte in cui sostiene il perseguimento della parità sostanziale e vieta ogni discriminazione fondata, tra l’altro, sul sesso.
Potremmo perciò stesso considerarla come l’artefice di quel presupposto che permette oggi di praticare quel “diritto diseguale” contenuto nella legge 125 e che, partendo dalle differenze sostanziali esistenti tra i due sessi a sfavore oggi delle donne, permette l’adozione di trattamenti diversi tra i due sessi in ragione di ciò.
Non è azzardato pensare che se fosse vissuta più a lungo, sarebbe stato possibile un dialogo ed un’intesa tra lei e Lucy Irigaray, madre del pensiero della differenza sessuale.
Solo, dopo aver percepito l’insieme di queste azioni, può comprendersi il senso della legge che di lei porta il nome e per la quale è principalmente famosa, un provvedimento per il quale dovette lottare ben 9 anni presso il Parlamento e per cui dovette sopportare conflitti enormi, umiliazioni e finanche pesanti minacce da parte dei tenutari delle case chiuse.
Tutto questo le costò la tranquillità e dovette assoggettarsi ad un regime di sicurezza, ma le offrì anche una straordinaria esperienza umana con quelle che lei definiva “le sventurate” e per le quali si riproponeva di alleviarne la penosa esistenza.
Molte di loro le scrissero durante l’iter travagliato della legge per sostenerla ed incoraggiarla e le loro lettere che la Merlin raccolse in un raro e prezioso libro curato con Carla Voltolina dal titolo “Lettere dalle case chiuse” offrono uno spaccato desolante della vita che quelle poverette vivevano all’interno dei bordelli.
E’ una lettura bella, straziante e che dimostra palesemente come, anche mutando il contesto e sfrondando gli scritti dalle connotazioni più spiccate del tempo, i problemi si ripropongono ora come allora per chi subisce la condizione di schiava del sesso.
Non c’era tra le sue intenzioni la pretesa assurda di eliminare un fenomeno così legato al mondo degli uomini e delle donne, ma l’intendimento certo di eliminare quella che si presentava come una duplice forma di sfruttamento, quella dei padroni sulle “sventurate” e quella dell’uomo sulla donna.
Aveva della prostituzione un’attenta conoscenza del fenomeno e sapeva di avventurarsi in un dibattito mai risolto e di doversi scontrasi con i falsi miti delle case chiuse.
Riproporre oggi il suo profilo di donna ci offre spunti diversi su cui riflettere per l’estrema attualità della sua opera, per il suo innegabile coraggio, ma anche per il suo rapporto onesto e pulito con l’impegno politico e la vita di partito.
* Responsabile politiche di genere, Segreteria Cgil Emilia Romagna
Lascia un Commento