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Libertà o retorica?

Libertà o retorica?

Nasce il PdL - Secondo Rosa Luxemburg “libertà è sempre soltanto la libertà per chi la pensa in modo diverso”. Berlusconi e PdL non condividono

Providenti Giovanna Lunedi, 04/05/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2009

Guardando in televisione il premier Berlusconi circondato da ministri, che aprendo le braccia esultante esclama “viva la libertà”, mi sono ricordata di una nota dichiarazione di Rosa Luxemburg: “libertà è sempre soltanto la libertà per chi la pensa in modo diverso”. Ma in Italia, dove domina un partito che fa della libertà il proprio vessillo, presente anche nel nome, è un’altra l’idea di libertà. Per i nostri governanti chi la pensa in modo diverso dalla maggioranza sta con la morte e non con la vita e chi bussa alle porte per cercare libertà viene bollato come clandestino da rispedire indietro. Nel nostro “belpaese” libertà è sinonimo di privilegio e permissivismo dentro una trincea di mattoni che diventerà sempre più fitta grazie a condoni e proprietà estendibili.

Il successo dell’attuale coalizione al governo, che si prepara a vincere anche le elezioni europee, si fonda sul presupposto (purtroppo rinforzato dai fatti!) che a giudicare l’operato governativo non siano dei cittadini in grado di capire che cosa stia succedendo intorno a loro, ma degli utenti-consumatori da corteggiare con proposte allettanti e facendo loro credere di stare dalla parte dei vincenti. Di essere dei privilegiati: nei confronti degli sfigati di sinistra, di tutti coloro che non possiedono nemmeno una piccola proprietà, degli immigrati clandestini a cui negare persino il diritto di curarsi, e, addirittura, nei confronti di tutti gli abitanti del mondo, che subirebbero le conseguenze della crisi internazionale in maniera molto più grave che in Italia.

Questa idea di libertà come privilegio è molto lontana dalla concezione di Rosa Luxemburg e delle molte donne e uomini che nella storia hanno combattuto per la libertà di tutti anche a costo della vita.

Libertà non è chiusura, ma apertura alle e verso le diversità. E per aprire la porta all’altro da sé è prima necessario aprirla all’altro dentro di sé, dato che in ognuno di noi alberga sia Mr Hide che dottor Jekyll. Il guaio è se si permette solo a uno dei due di essere cittadino, inebetendolo di privilegi, e si relega l’altro in cantina non permettendogli di sviluppare le sue migliori potenzialità.

Il limite della prospettiva dell’autore di “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, tendente a identificarsi più con Jekyll che con Hide (considerato un male interiore che finisce per distruggere l’equilibrio della sua anima) è l’atteggiamento di rifiuto nei confronti dell’alter ego Mr Hide, giudicato malvagio perché trasgredisce la sua visione ordinata del mondo. Ma la trasgressione di Hide è direttamente proporzionale alla repressione subita da parte di Jiekyll, il quale, non riuscendo a cogliere la propria natura duale, si identifica solo con il sé rappresentato dal dottore socialmente vincente, “buono” e bravo, che si ritrova ad essere “invaso” da un clandestino indesiderato, che non è altri che lui stesso, diventato criminale in reazione al divieto di esistere. Jekill non comprende che il suo problema non è Hide, ma la propria visione riduttiva e bipolare del mondo, che, definendo cosa è bene e cosa è male, crea il mostro cattivo.

L’abitudine a pensare in maniera bipolare è oggi responsabile di alcune “ipersoluzioni” con cui le istituzioni politiche pensano di risolvere le questioni sociali, non basandosi sulla conoscenza reale di ciò che succede nel quotidiano di cittadini e cittadine e dei loro reali bisogni, ma sulla base di concetti astratti: il bene che deve dominare sul male, la verità che deve trionfare. In Italia oggi stiamo assistendo a una serie di tali “ipersoluzioni”: la questione “testamento biologico” risolta con una legge poco rispettosa dei diritti umani dell’individuo; il “pacchetto sicurezza”, rivolto a mettere a norma i campi nomadi e combattere la clandestinità, che prevede cose come la segnalazione da parte dei medici e i campi di concentramento per gli immigrati; il problema della violenza contro le donne affrontato fomentando la paura dell’estraneo e dello straniero, cercando “capri espiatori” e garantendo branchi di ronde contro ipotetici branchi di violentatori, ottenendo il risultato di aumentare l’insicurezza delle donne invece di incoraggiarle a rafforzarsi.

I problemi di singole persone e/o di collettività non si risolvono con “ipersoluzioni”, ma vanno affrontati caso per caso, rinunciando agli slogan e imbrattandosi le mani a contatto con la realtà concreta. Oggi, è soprattutto nella pratica quotidiana dei singoli che molte questioni vengono affrontate. Ad esempio la questione del razzismo, in moltissime persone è superata a partire da sé: nel percepire se stessi personalità plurime o nomadi. La crisi economica è ben affrontata da reti del terzo settore, da cittadini che si auto-organizzano in gruppi di acquisto, che trovano strategie per ridurre gli sprechi o che si rivolgono allo sviluppo dell’agricoltura di prossimità, come avviene nel Parco Sud di Milano; da stili di consumo, di imprenditorialità, di management e persino di finanza che danno più valore alla solidarietà e alla costruzione di relazioni e legami sociali che all’accumulo di capitale. Non è forse un caso che Banca Etica, in totale controtendenza alla crisi, ha chiuso il 2008 con un utile netto superiore al 25% rispetto al precedente anno.

Qualsiasi crisi, sia personale che collettiva, sia politica, finanziaria che di identità, si affronta meglio rafforzando autonomia e fiducia nelle proprie capacità piuttosto che affidandosi al semplicistico ottimismo di chi offre privilegi a scapito di qualcun’altro. Una persona autonoma è in grado di individuare la bugia nascosta dietro promesse seduttive, di decodificare i progetti di chi sa sfruttare le debolezze individuali: si accorge di essere vittima delle suggestioni che vanno a nutrire la parte di sé a cui piace sentirsi privilegiata e capisce di essere più libera quando è padrona di se stessa, anche se non possiede piccole proprietà di immobili estendibili. Una persona davvero libera non si barrica in false certezze e, invece di morire lentamente per conformarsi ai valori dominanti, rinasce giorno per giorno, affrontando a piccole dosi, con coraggio e curiosità, le novità che la vita può offrire. Per questo non teme tutto ciò che è differente da sé ed auspica una libertà che comprenda anche chi la pensi in modo diverso. Non teme di scoprire cosa può esserci dietro uno qualsiasi dei sintomi di malessere che attanagliano individui e società al giorno d’oggi: per questo fa diagnosi precise e dettagliate. Invece spesso, sia in politica che in medicina, si trova la cura prima di comprendere la malattia, trascurando l’ipotesi che un sintomo o una crisi prima di essere un male che distrugge l’equilibrio, è un segnale di un cambiamento che bussa alle porte: che sarebbe meglio ascoltare e comprendere prima che si decida a sfondare tutto, pur di attraversare la soglia.

Nel passaggio verso il futuro nuovo e inaspettato faremmo bene a lasciare le porte aperte, o anche solo socchiuse, a tutto ciò che è altro rispetto alle nostre identità privilegiate. Ed anche a imparare a stare nei paradossi, a riderne, accogliendo sia le pluralità dentro di noi che le pluralità intorno a noi. Camminando lentamente, come funamboli in precario equilibrio, nei continui processi di rinascita che producono cambiamenti lenti e profondi, che vale la pena scoprire prima di trovare nuove catastrofiche “ipersoluzioni”.

Forse dietro la tanto temuta rottura di equilibri economici, politici, societari e identitari ci sta la nascita di qualcosa di migliore. Speriamo anche una rivoluzione simbolica in cui parole come libertà, giustizia, parità e solidarietà perdano ogni retorica e assumano significati autentici e pregni di vita vera.



(4 maggio 2009)

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