Libere di essere. Ovvero il cambiamento (culturale) che vogliamo
Il Festival Libere di essere si svolgerà dal 7 al 9 maggio, in diretta streaming dall’Auditorium Parco della Musica di Roma
Lunedi, 26/04/2021 - Per la prima volta D.i.Re, Donne in rete contro la violenza - l’associazione nazionale dei centri antiviolenza e delle case rifugio gestite da organizzazioni di donne - organizza un Festival. Il titolo del Festival è insieme esplicito ed evocativo: Libere di essere. Si svolgerà dal 7 al 9 maggio, in diretta streaming dall’Auditorium Parco della Musica di Roma, ed è realizzato con la collaborazione di Hero, in co-produzione con la Fondazione Musica per Roma, con il finanziamento del Dipartimento per le Pari opportunità, la produzione di Mismaonda e la consulenza di Serena Dandini. programma - info per seguire gli eventi Ancora oggi, in un paese che conta un femminicidio in media ogni 3 giorni, e in cui - nei soli centri antiviolenza delle rete D.i.Re - ogni anno oltre 20.000 donne sono accolte in un percorso di fuoriuscita dalla violenza, parlare di libertà delle donne non è scontato.
“Il pensiero femminista ha messo in luce come la violenza contro le donne sia radicata nelle dinamiche di potere, in quella matrice patriarcale che resiste, e che consente e legittima l’imposizione di limiti, il controllo, fino agli abusi, fino alla violenza”, ha detto Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, aprendo la conferenza stampa con cui è stato presentato il programma del Festival. “Le donne sanno che la violenza maschile cesserà solo quando la società e la cultura riconosceranno e rispetteranno la libertà di essere delle donne”.
“Questo festival parla di un cambiamento culturale, del cambiamento che vogliamo”, ha aggiunto Veltri. E ha notato come il Festival “ha ancora più senso in questo momento”, alla luce dell’impatto della pandemia sulle donne, “perché l’inerzia dei vecchi modi di pensare rischia di portare a politiche per il futuro che ricalcano priorità e impostazioni del passato. È indispensabile invece partire diversamente, se si vuole davvero ri-partire”.
Intanto il Festival è già partito, il 16 aprile, con Corpi in movimento. Adolescenza, maternità, metomorfosi, il primo di tre incontri di avvicinamento, un ciclo intitolato “Libere di leggere: un percorso tra i libri” curato da Maria Teresa Carbone e Chiara Veltri.
Si tratta di conversazioni intorno alla dialettica tra libertà e potere ripercorsa attraverso il tempo e le generazioni, prendendo spunto dai testi pubblicati da scrittrici, sociologhe, storiche, ricercatrici, artiste. Insieme agli appuntamenti successivi - Da una generazione all’altra. Storia, lavoro, politica, il 23 aprile, e La quarta età. Uno sguardo maturo, il 30 aprile - i tre incontri restano disponibili sulla pagina Facebook e sul canale YouTube di D.i.Re per chi non ha potuto seguirli in diretta.
È certamente un festival in cui si parlerà, anche, di violenza contro le donne, ma nello scorrere il programma si nota una grande attenzione a farlo in maniera non scontata, andando ad esplorare aspetti di cui non si parla spesso, e offrendo al pubblico non tanto un cahiers de doléances quanto piuttosto un caleidoscopio di possibili percorsi per trovare il proprio modo per contribuire al cambiamento culturale capace di prevenire la violenza.
Un cambiamento culturale che può iniziare fin da piccoli, anzi da piccolissimi, come racconterà il panel Libere di essere a scuola: bambini e bambine alle prese con il potere - l’8 maggio alle 10.30 - frutto di una pionieristica esperienza realizzata dai centri antiviolenza della rete D.i.Re con educatrici, maestre/i e soprattutto migliaia di bambini/e dai 4 ai 7 anni.
Un cambiamento culturale che deve riguardare anche media e aule dei tribunali, che sarà messo a tema nel panel intitolato significativamente Io ti credo, anzi no! Come la vittimizzazione secondaria silenzia le donne e occulta la violenza - il 9 maggio alle ore 14.30. Un tema di straordinaria attualità dopo il video di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, indagato per stupro di gruppo, definito da Antonella Veltri “un fulgido esempio della cultura dello stupro” in cui Grillo “interpreta la vittimizzazione secondaria”.
Il Festival offrirà anche uno sguardo inedito sul percorso di fuoriuscita dalla violenza che si realizza nei centri antiviolenza e nelle case rifugio della rete D.i.Re, con il racconto intimo ed emozionante di operatrici, coordinatrici, psicologhe, mediatrici culturali nel panel La libertà al Centro - il 9 maggio alle 16. Perché, contrariamente a quanto spesso si pensa, non basta sottrarsi ai maltrattanti: quello è solo il momento iniziale di un percorso, un percorso che può durare molti mesi, dal primo colloquio di accoglienza all’ultimo colloquio che lo chiude, e dentro il quale c’è la rielaborazione del trauma, la riconquista della fiducia in se stesse, l’elaborazione di un nuovo progetto di vita.
Il tempo presente e l’impatto del Covid-19 ispirano due panel il primo, intitolato Corpo. Salute. Libertà - il 9 maggio alle 10 - mette a tema la diversità delle donne di fronte alla cura, partendo dalle esperienze di Marina Cuollo, autrice dell’irriverente pamphlet A Disabilandia si tromba! (Sperling & Kupfer) e di video in cui decostruisce con ironia i pregiudizi sulla disabilità, Yvette Samnick, mediatrice culturale e scrittrice di origini camerunensi, e Francesca Mannocchi, giornalista d’inchiesta e reporter da zone di conflitto, autrice di Bianco è il colore del danno (Einaudi) sull’esperienza della malattia.
Il secondo, intitolato Le donne e il potere economico: un percorso a ostacoli - il 9 maggio alle 18 - affronta l’autonomia delle donne, essenziale per liberarsi della violenza, e dunque il lavoro, il fare impresa ma anche, attualissima, la pianificazione del Recovery Fund.
Anche qui l’approccio è originale, perché le esperte che si confronteranno - Linda Laura Sabbadini, statistica, Giovanna Badalassi di Ladynomics, Claudia Segre della Global Thinking Foundation e Chiara Bassi, country manager di Domestika Italia, i cui corsi online sono esplosi durante il lockdown, offrendo a tante e tanti la possibilità di utilizzare il tempo svuotato dal lavoro per riscoprire i propri talenti – stanno tutte declinando da diversi punti di vista una “economia della cura” con un’accezione ampia, che richiama La cura del vivere proposta in un supplemento alla rivista Legendaria del 2011 dal “Gruppo del mercoledì” della Casa internazionale delle donne.
Il Festival dedica anche molta attenzione all’immaginario: alle rappresentazioni e autorappresentazioni delle donne – con la Tavola rotonda dell’8 maggio alle 17, che conclude il ciclo “Libere di leggere: un percorso tra i libri”, e vedrà ospite Margaret Atwood dal Canada, il cui romanzo Il racconto dell’ancella diventato una serie famosissima, la cui iconografia ha anche ispirato i flashmob del movimento Non una di meno contro il Ddl Pillon e i tentativi di imporre restrizioni all’accesso all’interruzione di gravidanza che si susseguono nelle diverse regioni italiane, Umbria, Marche, Piemonte in testa. Con Atwood le scrittrici Laura Pugno, finalista al Campiello con La ragaza selvaggia (Marsilio) e Nicoletta Vallorani, docente all’università di Milano, i cui romanzi si muovono tra scenari cyberpunk e noir.
Le serie televisive, fruite attraverso tablet e computer grazie alle nuove piattaforme online, stanno anch’esse dando un contributo notevole a una rappresentazione delle donne meno stereotipata, più aderente alla realtà e insieme capace di ispirare un cambiamento, come propone il panel intitolato Dalla serie alla vita. Il cambiamento sul piccolo schermo.
Un potenziale declinato da Marina Pierri, critica cinematografica, direttrice di FEST, il Festival delle serie televisive che si tiene a Milano, in Eroine, libro edito da Tlon con il sottotitolo Come i personaggi delle serie TV possono aiutarci a fiorire, che sarà interessante confrontare con il lavoro di Paola Randi, regista delle serie Luna nera, protagonista una strega, e Zero su Netflix, di Adele Tulli, che nel documentario Normal esplora la costruzione dei ruoli di genere nella dimensione contemporanea, di Mariolina Venezia, autrice e sceneggiatrice di Imma Tataranni, sostituto procuratore, prodotta da RAI Fiction, personaggio qui analizzato da Ilaria Danzé, Federica Genna, Anna Grasso, Sara Iuorio e Benedetta Scocca del Laboratorio di cinema di Monica Dall’Asta, dell’Università di Bologna, e di Eleonora Trucchi, che ha trasformato la vicenda delle “baby squillo dei Parioli”, raccontata in maniera molto stereotipata e giudicante dalla cronaca, nella serie Baby, sempre su Netflix.
Tornano sul palco, con l’interpretazione di Lella Costa, i monologhi di Ferite a morte, spettacolo scritto da Serena Dandini con Maura Misiti che trasse ispirazione dal lavoro delle operatrici di Le Onde, il centro antiviolenza della rete D.i.Re di Palermo, per raccontare le donne prima del femminicidio che ha posto fine alla loro vita. Lo spettacolo è stato rappresentato per la prima volta a Palermo nel 2013 per sostenere la ratifica della Convenzione di Istanbul da parte dell’Italia, e a marzo scorso una sua versione in spagnolo è stataportata in scena a Città del Messico.
Un tocco di leggerezza è assicurato da Vieni avanti, cretina!, il varietà comico ideato da Serena Dandini per L’eredità delle donne, manifestazione che si è svolta alla Fortezza da Basso di Firenze nel 2019, che per la prima volta approda a Roma. Sul palco, insieme a Dandini, attrici comiche che ci hanno abituate a una lettura fuori dagli schemi e irriverente della condizione delle donne e degli atteggiamenti nei loro confronti degli uomini e della società, capace di far riflettere mentre ci fa ridere, come Antonella Attili, Gioia Salvatori, Daniela Dalle Foglie, Laura Formenti, Michela Giraud, Annagaia Marchioro, Francesca Reggiani.
Serena Dandini, presentando l’Abbecedario che chiuderà il Festival Libere di essere e la vedrà sul palco con le scrittrici Teresa Ciabatti, Michela Murgia e Chiara Valerio, ha ricordato che “anche le parole possono essere violente. Le parole sono importanti, definiscono la cultura in cui viviamo, una cultura che porta alla violenza. Per quanto possano esserci leggi e regolamenti, necessarie a contrastare il fenomeno, senza una rivoluzione culturale che parte dagli stereotipi e dunque dalle parole, questa battaglia sarà difficile da vincere”. Perché, “libertà per le donne significa libertà per tutti, indipendenza delle donne significa indipendenza per tutti”.
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