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Libere coscienze

Libere coscienze

Laicità - Il principio cattolico che nega l’autodeterminazione contrasta con il patto unificante costituzionale

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008

I casi Welby ed Englaro hanno costretto il mondo politico ad affrontare il tema del testamento biologico, un dilemma che per anni si è preferito trascurare nella consapevolezza di quanto fossero distanti le posizioni dei laici e dei cattolici post Concilio Vaticano secondo. La cui influenza ormai è tanto forte che il Parlamento potrebbe votare il bis della legge 40, ovvero di una legge rispettosa dei “valori non negoziabili”. Perché negare all’alimentazione e all’idratazione artificiale il valore di atti medici significa negare a Beppino Englaro il diritto di procedere affinché venga rispettata la volontà espressa dalla figlia. Ancora una volta nel nostro paese si pone l’eterna ed insoluta questione del rapporto fra la Chiesa cattolica romana e la democrazia. Tutti conosciamo il detto “Date a Cesare quel che è di Cesare” ed in effetti le società cristiane ignorano la teocrazia di molte società islamiche dove i precetti della legge divina diventano il “precedente “, l’“a priori” del diritto. Ma se rileggiamo la storia vediamo che, da Costantino in poi, se da una parte trono e altare erano allacciati, dall’altra entrambi cercavano di allargare il proprio potere l’una a danno dell’altro; la contesa, che a volte è degenerata in guerra aperta, è proseguita sotterranea per due millenni e tuttora la Chiesa cerca di accrescere il suo potere, ovviamente nelle forme proprie e conformi al nostro tempo (in cui, ad es. non può più chiedere al braccio secolare di arrestare e condannare, ma può chiedere ai fedeli di essere testimoni della Verità, cioè delle posizioni espresse dal magistero). Il Papa oggi, nella sua crociata contro il relativismo, ha trovato un sostegno nelle parole del costituzionalista Bockenforde: ”lo Stato secolarizzato, basato sulla libertà, si nutre di premesse che esso stesso non può garantite”. “In queste parole avvertiamo un rintocco a morte per il nostro tempo debole e malato, e all’opposto, una nota nostalgica per un’epoca forte e sana in cui i vincoli morali di appartenenza erano a priori”, (Zagrebelsky). Quali erano i vincoli che garantivano omogeneità, solidità, identità allo Stato? Ce lo dice Botero, teorico secentesco della ragion di Stato: “ Tra tutte le leggi non ve n’è una più favorevole ai Principi che la Christiana; perché questa sottomette loro non solamente i corpi e le facoltà dei sudditi, dove conviene, ma gli animi ancora e le conscienze; e lega non solamente le mani ma gli affetti ancora e i pensieri”. La religione dunque, “patto unificante” e collante sociale, costituiva per il Principe il “precedente” del diritto, delle leggi cui si doveva obbedienza. Tutto questo fino alla rivoluzione francese che ha privato la Chiesa cattolica di quella che Bellarmino ha definito “il potere indiretto nelle cose temporali” (potestas indirecta in temporalibus ); fino a quando cioè nasce un nuovo pensiero che “consegna il diritto alla solitudine della volontà dell’uomo” (Agamben). Ma se l’uomo cerca in autonomia la sua strada, il precedente del diritto non è più la Verità (eterna ed immutabile) ma il volere dell’uomo (fragile e mutevole). Ed infatti molte pagine di Ratzinger - famose quelle scritte insieme ad Habermas - descrivono una società insicura, liquida, instabile; una società in cui il diritto non rispetta più le parole di Verità della religione ma si affida alla volubilità e all’imprevedibilità del volere umano. “Dopo il tramonto dei presupposti religiosi e metafisici, come restituire solidità alla società erosa dall’insicurezza e dall’inquietudine”(Zagrebelwsky)? Il Papa ci invita ad abbandonare l’utopia dell’autosufficienza e a restituire al diritto una base solida: la matrice divina. Perché, scrive, “quando l’uomo viene escluso dalla verità solo la casualità e l’arbitrarietà possono ancora dominarlo”. La salvezza dello Stato dunque sta nella formula “vivere etsi deus daretur”: tutti cioè, atei compresi, devono vivere “come se Dio ci fosse”. Una soluzione molto apprezzata nel mondo politico italiano di oggi, dagli atei devoti alla sinistra. La quale però ha dimenticato che nella Costituzione il paese trova un ‘patto unificante’ i cui principi rappresentano per la democrazia una base ben più solida della dottrina cattolica. Perché non cadono dall’alto ma, nati dal compromesso, ci indicano l’unica strada che permette ai diversi di incontrarsi e di giungere ad un accordo condiviso che non escluda né mortifichi l’Altro. Sono principi autoevidenti che non hanno bisogno di alcun sostegno argomentativo perché sono il frutto dell’eredità culturale della storia, figli del dolore ma anche del progresso; e la difesa dei diritti da essi proclamati è ancora più urgente oggi, quando la guerra di civiltà rinnova gli orrori delle guerre di religione. Quale spirito democratico vive in coloro che non vedono i rischi legati al progetto di trasformare la dottrina della Chiesa di Roma in ‘religione civile’, rifiutando ad Eluana il diritto si decidere della propria vita, in spregio alla vigente Costituzione?

(18 dicembre 2008)

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