Iori Catia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Ci sono donne, e alzi la mano chi non si è mai trovata sinceramente in tal situazione, che pur di tenersi avvinghiato un uomo venderebbero l’anima al diavolo con cervello annesso.
E vi spiego subito perché. Esistono donne di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali che cresciute con la convinzione che essere donna significhi dare in modo incondizionato, sono incapaci di volersi bene. Donne che, per non affrontare il rapporto con se stesse, affidano ad altri il compito di renderle felici. A dispetto della più comune evidenza, queste donne subiscono umiliazioni di ogni genere, accettano di abbassare il loro grado di autostima pur di continuare a pensare che ci sia qualcuno al mondo di dare loro riconoscimento ed affetto. Io da tempo ho avvertito l’esigenza di studiare da sociologa più a fondo il problema, maturando una sensibilità personale e professionale più attenta sul tema della dipendenza affettiva. Senza arrivare all’estremo della violenza che rimane pur sempre la punta dell’iceberg di un disagio sempre più diffuso, ciò che caratterizza il rapporto con il partner è proprio la qualità di una relazione che non si vuole vedere o si tenta a tutti i modi di sostenere, pur di non dire un basta definitivo. Ed è pur sempre vero che da sole si corre il rischio di focalizzarsi unicamente sui problemi personali, trascurando di considerare le condizioni sociali che li creano e li favoriscono. Confrontarsi con altre donne disposte a porsi le domande giuste, condividere i dubbi, le contraddizioni e le paure con chi vive situazioni simili, possono aiutare a riconoscere e accettare i propri atteggiamenti dipendenti senza colpevolizzarsi troppo e a trovare la determinazione giusta per uscire da comportamenti obbligati, che si ripetono quasi in automatismo, continuando a ferirci e a minare la nostra autostima. Beninteso non intendo farlo come professionista ma come donna, attraverso un confronto alla pari con altre donne che, dandosi reciproco aiuto e scambiandosi competenze ed esperienze, imparano a volersi più bene. Stando tra le donne ad esempio ho notato che spesso accanto alla poca o nulla accettazione di sé ci sono pure la difficoltà di comunicare le proprie esperienze più intime e la resistenza a leggere e ad accogliere le proprie emozioni. Di qui la necessità di raccontarsi, di esprimersi per vedere rispecchiata negli occhi dell’altra la propria unicità, e vedersi così con occhi diversi, bastarsi di più ed essere meno vulnerabili a mettere a repentaglio il proprio bagaglio emotivo.
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