Dall'Enciclica del 1968 alla Commissione "della popolazione e della natalità" di Papa Roncalli. La contraccezione, oggi, secondo l'Amoris laetitia di papa Francesco
Mercoledi, 04/07/2018 - Il 25 luglio 1968 Paolo VI promulgava l'Humanae Vitae, un'enciclica inattesa, che definì, meglio di ogni altro intervento, la natura di quel pontificato, ampio di vedute sul piano ideale e limitato dalla preoccupazione per la tradizione del magistero cattolico.
Papa Roncalli, ben diversamente sensibile al conflitto tra l'immobilismo della Chiesa di Pio XII e le impellenti trasformazioni sociali del secolo, aveva istituito fin dai primi anni Sessanta (del secolo scorso) una Commissione di studio “della popolazione, della famiglia e della natalità” che, senza nominarlo, comprendeva, tra l'altro, il riferimento all'uso dei contraccettivi.
La maggioranza dei vescovi era favorevole a reinterpretare il “crescete e moltiplicatevi” e sembrava che la Chiesa si disponesse a promuovere una scelta più responsabile della genitorialità. Si raccontava che ad un intervento contro ogni pratica di ostacolo alla riproduzione tenuto in assemblea dal cardinal Ottaviani che, rammentando lo stile di vita dei suoi genitori, del padre lavoratore e dei tanti figli, ammoniva che mai la sua famiglia sarebbe ricorsa alla contraccezione, alcuni vescovi commentassero “utinam, utinam!” magari, magari....
L'enciclica fu, infatti, una gelata: il papa ammetteva la liceità dei soli metodi naturali, anche se riconduceva maternità e paternità all'etica della responsabilità. Anche all'interno delle strutture cattoliche fu grande lo sconcerto. In quel periodo dirigevo “Il nostro impegno”, mensile delle donne dell'Azione Cattolica: non potevamo non pubblicare il documento del papa e la nostra piccola redazione ricorse ad alcuni accorgimenti per non fargli eccessiva propaganda. Ne demmo l'annuncio in apertura nell'editoriale, poi lasciammo il titolo in latino notoriamente non un'attrativa, e usammo nella grafica il “retino” che rendeva un po' spenta la pagina. Anche per l'Azione Cattolica era il Sessantotto. Ed eravamo tutte donne. La trasgressione aveva anche motivazioni oggettive: non ci si poteva nascondere che il risultato dell'imposizione forzata alla coscienza avrebbe prodotto solo la doppiezza della morale e l'ipocrisia di una disciplina accettata a parole e disobbedita in privato. Infatti per larga parte della gente già allora la sensibilità comune individuava il “peccato” più nel mantenimento della vecchia dottrina e nella mancata evangelizzazione dei fedeli maschi che nell'uso dei contraccettivi: per quell'omertà di genere che persiste anche nel clero, la paternità è autorizzata a restare irresponsabile, come se il buon dio avesse dato all'uomo una sessualità “per natura” violenta a cui la donna “deve” sottomettersi.
Eppure Dio stesso aveva insegnato diversamente, avendo mandato un angelo a Maria per chiederle il consenso per quanto stava per accadere. Nemmeno oggi la teologia morale - come del resto anche la morale laica - viene pensata in riferimento alla differenza dei “generi”. Possiamo solo sperare che sia ormai totale l'oblio steso sulla Casti Connubi del 1930 che definiva “turpe e disonesto” impedire la funzione riproduttiva della genitalità e che l'attuale corso di studi dell'Università Gregoriana, dal titolo anodino “A cinquant'anni dall'Humanae vitae”, induca davvero, se non al rinnovamento della normativa, a ripensare la compatibilità dell'HV con l'Amoris laetitia di papa Francesco.
Resta il danno del permanere dell'immobilismo cattolico: si sa che il tempo perduto non si ricostituisce e i ritardi sono stati così controproducenti da continuare ad ostacolare la ricezione di un Concilio che, oltre cinquant'anni fa, volle essere “pastorale” e non più “dogmatico”. Giovanni XXIII calcolava l'effetto contagioso della crescita ordinata dei valori che non cambiano se noi che li interpretiamo, li traduciamo a divenire segni dei nostri tempi. I pontefici che hanno seguito la linea della successione apostolica non ebbero tutti stessa visione anticipatrice delle prevedibili trasformazioni, già scritte nell'agenda della storia. Oggi i cattolici (ma non solo?) sono in caduta libera e molti giovani si sposano ancora in Chiesa solo per far piacere ai genitori e godere della ritualità fortunatamente sempre più sobria. Tuttavia non si può dimenticare che per i loro genitori e nonni il matrimonio aveva come principale finalità “la riproduzione, insieme con la reciproca assistenza e (orribile dirlo in un sacramento) il remedium concupiscentiae”. Il Concilio Vaticano II ha voluto che fondante del matrimonio sia, finalmente, l'amore: anche gli intransigenti che domandano, sempre più arrabbiati, “dove andremo a finire con questo papa Francesco?”, debbono riconoscere che i veri “valori” crescono nella libertà propria “dei figli di dio” e, soprattutto, nell'amore. È questo che umanamente lega, in forma se volete indissolubile, le coppie: prescindendo dalle tipologie sessuali, l'ultima generazione deve poter pensare di fondare famiglie capaci di buona relazionalità e di estensione solidale con gli altri.
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