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Lettera Aperta di una madre

Lettera Aperta di una madre

Discriminazioni - Essere madre di un figlio disabile è una vera e propria barriera all’accesso al mondo del lavoro

Tamanti Barbara Lunedi, 14/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

Si parla tanto di differenze di genere, di disparità nel diritto e nell'occupazione, sappiamo bene che lo stipendio di una donna è sempre inferiore a quello di un uomo e che a pari merito lei deve sgobbare tre volte di più, per affermarsi attraverso le sue capacità. Ma c’è un’altra discriminazione di genere che passa inosservata sia perchè riguarda una minoranza sia perchè a subirla sono donne che con dignità e fatica sopravvivono al silenzio della denuncia. Mi riferisco alle madri di figli con disabilità gravi.

La legge 104/92 tutela e "protegge" alcuni diritti ai titolari, una madre lavoratrice può usufruirne se il figlio minore è accudito da lei. Questa norma prevede anche la possibilità di assentarsi dal lavoro fino a tre giorni al mese, diritto di cui non è facile usufruire. Ma accade che nel lavoro questa possibilità giochi a sfavore della donna, che viene giudicata "inaffidabile" dato che per problemi familiari potrebbe assentarsi spesso, avere emergenze, o non rendere al massimo delle sue possibilità. Quindi se per una donna essere madre può rappresentare un limite nelle potenzialità lavorative, esserlo di un figlio disabile è una vera e propria barriera all’accesso al mondo del lavoro e a una qualsiasi forma di "carriera".

Poi ci sono le donne che non lavorano, non sempre per scelta. Infatti la scarsità, quando non addirittura l’assenza, di servizi per l'accoglienza di bambini o ragazzi diversamente abili rappresenta un ulteriore ostacolo. I tagli alla scuola pubblica ne sono un esempio lampante, con riduzioni anche del personale specializzato. Inoltre la legge prevede che un alunno disabile può essere inserito nella scuola pubblica non oltre il 18° anno di età. Queste donne sono confinate alla cura, spesso in solitudine e senza aiuti sociali. Soprattutto sono destinate alla sudditanza economica dai loro mariti o compagni, con pesanti conseguenze sul piano psicologico e dell'autostima.

L'attuale governo, inoltre, presenta leggi per diminuire, e in alcuni casi eliminare, l'assegno di sostegno alla famiglia. La conseguenza di questa impostazione, se venisse portata al voto, sarebbe di isolare, emarginare ancora di più la donna nel suo ruolo di ‘angelo del focolare’, come vuole una cultura vecchia e improponibile. Nel caso di una madre di figlio disabile considero questo obbligo una condanna alla morte sociale, culturale e morale.

Le discriminazioni sono pesanti ed evidenti, eppure intorno a questa realtà c’è un silenzio assordante. Altro che ‘buonismi’: quelle madri sono considerate responsabili di aver generato un figlio diverso, un peso nel nostro contesto sociale. In questa solitudine culturale, prima ancora che strutturale, le madri di figli disabili vivono con sensi di colpa che impediscono loro di esporsi, di chiedere. Per queste donne pretendere l’autonomia significherebbe esporre le proprie debolezze, ulteriore crudeltà.

Racconto queste cose, in quanto madre di una ragazza con disabiltà, perchè sono preoccupata dell'ignobile dilagare di una cultura sempre più sessista e razzista, perchè credo che in quanto donne dovremmo urlare e denunciare l'oltraggio che altre donne subiscono: relegate, sopraffatte, calpestate. Sono donne che non hanno, oggi, speranza del sostegno civile.



(14 febbraio 2011)

 

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