Login Registrati
Lettera a Piera Degli Esposti

Lettera a Piera Degli Esposti

Lunedi, 16/08/2021 - Ti ho ri-conosciuta molti anni fa durante un'opera teatrale al Politeama di Napoli. Ed ora mi torna il mente il meraviglioso Stabat Mater sei stata un mostro di coraggio e di martirio visionario. (Pompei 1994). Altre opere teatrali importanti per me Molly cara (1978) - Caccia al lupo di Giovanni Verga e La morsa di Luigi Pirandello, regia di Tino Schirinzi (1979) - Il bell'indifferente, monologo di Jean Cocteau, (1982) -Madre coraggio ed i suoi figli (1986) - Michelangelo (1986) - Rappresentazione della passione (2000) -Gino Cornabò (2004) - Gli asparagi e l'immortalità dell'anima (2005) - Umorista sarà lei (2006).
Come se mi avesse colpito nella tua arte la forza ed il sentimento che ho poi riscontrato negli anni. Dicevi spesso "Ho fatto teatro per fermare il tempo e non ci sono riuscita".
Ci fu da quel momento magico fra di noi una affinità intellettuale e spirituale che hanno sorretto nel tempo, una amicizia che aveva anche lunghi momenti di silenzio, prese ognuna dal proprio lavoro. Eppure rivedersi quando arrivavi al tuo albergo a Santa Lucia a Napoli sul lungomare, andare in macchina in serate anche dalla pioggia intermittente. Le tue risate in macchina quando ad un certo punto accompagnavi il ritmo della pioggia con le nocche delle dita sul finestrino, mentre meravigliata come una bambina guardavi la città con un sentimento unico quasi di appartenenza, mi mancheranno. Mi mancheranno le ore trascorse a casa mia quando ti rifugiasti dopo un grande lutto e mi parlavi della vita e delle ombre, dell’amore e del valore dell’amicizia.
Verso le 15 pranzavamo insieme con del pesce che prendevo appositamente al Porto di Pozzuoli dove un giorno ti accompagnai perché volevi sentire i ritmi cantalinanti dei pescatori.
A differenza che nell’amore, in cui l’aspirazione alla fusione è un rischio sempre presente, nell’amicizia circola del vuoto fra gli amici, per cui il calore dell’affetto non toglie la solitudine: “Desiderare di sfuggire alla solitudine è una debolezza. L’amicizia non deve guarire le pene della solitudine, ma duplicarne le gioie”. Due amici sono concepiti come due rette parallele che s’incontrano solo all’infinito, in Dio. Vi è amicizia pura solo “quando un uomo accetta di guardare da lontano, e senza accostarsi, un essere che gli è necessario quanto il nutrimento”.
Il rispetto del libero consenso dell’altro è uno dei motivi per cui ti accosto oggi ad una grande pensatrice che amo, Simone Weil che considerava l’amicizia come una delle forme dell’amore implicito di Dio, accordandole una centralità, nel proprio pensiero, che è giustificata dalla preoccupazione di evitare il rischio della fusione collettiva, di tenersi lontana dalla prospettiva divorante del
“noi”: mentre ogni “noi” collettivo è guardato con sospetto, perché, oltre a spingere il singolo ad annullarsi nella massa, indica inevitabilmente, insieme agli amici da amare, anche i nemici da odiare – tutti coloro che non sono “noi” -, invece l’amicizia
pura è vista “quasi come un sacramento”, perché essa è capace di mantenere la propria forza.
Non è un caso, da questo punto di vista, che Simone diffidi dell’amore e gli preferisca l’amicizia: mentre nell’amore infatti si tende a fare uno, si mira a una fusione che annullerebbe l’alterità dei due, invece nell’amicizia l’affetto che circola fra gli amici non cancella la loro singolarità né toglie la loro solitudine.
“Che altri esseri umani esistano senza dominarli né esserne dominati. Quando c’è incontro morale, è amicizia. Quando c’è incontro fisico, è amore” (Weil).
E’ esistito fra di noi un’imparzialità nell’affetto, un elemento di impersonalità nel legame personale. Se c’è un punto di estraneità nella relazione, è possibile fra amici dirsi con franchezza, persino con spietatezza, i difetti e gli errori che si intravedono nell’altro: l’amore della verità prevale allora sulla pur comprensibile esigenza di compiacere l’altro, ma al prezzo di lasciarlo nell’ignoranza circa i propri difetti.
A proposito dell’amicizia, Simone Weil insiste anche sulla necessità di rimettere agli altri i debiti creati dalla nostra immaginazione: invita se stessa a non aspettarsi dagli altri quello che l’immaginazione le suggerisce, ma ad attenersi solo agli scambi effettivi, sul piano della realtà. Si tratta, ancora una volta, di mettersi in ascolto dell’alterità, di non anticipare con l’immaginazione ciò che gli altri vogliono e possono effettivamente darci, di non sovrapporre il nostro bisogno di essere gratificati alla loro libertà di essere ciò che sono. Anche in questo caso, viene scavato un certo vuoto fra noi e l’altro, l’amico: il vuoto deriva dalla cancellazione di ogni lavorio immaginario, che finirebbe col colmare illusoriamente quella distanza che invece è necessario mantenere nell’amicizia.
Cara Piera la tua voce, la tua ironia, la tua intelligenza ti siano lievi in questo nuovo viaggio dove la fonte a cui abbeverarsi è altra ma la radice della nostra esistenza un grande privilegio.
E’ stato un privilegio conoscerti e incontrarti fra le strade del mondo. Mi chiamavi amazzone ed ora ti saluto, guardandoti andar via con un foulard svolazzante.

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®