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Letizia Maniaci<br>

Letizia Maniaci

Dalla viva voce di - Giornalista di Telejato, la televisione che fa nomi e cognomi

Rosa Frammartino Lunedi, 21/06/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2010

Letizia Maniàci è a Reggio Emilia per condurre un laboratorio di “telegiornalismo”. E’ una ragazza che non ama la “scena”, non pretende ruoli da protagonista, ma ugualmente ha accettato l’invito del Consorzio Cooperativo “Oscar Romero” e del progetto “Percorsi di Cittadinanza & Legalità”, a condividere con i ragazzi del Liceo Ariosto ciò che ha imparato sul modo di “fare vera informazione”. Un’esperienza educativa che coinvolge città e istitu-zioni e che consente ad un gruppo di giovani di “respirare” il profumo della “buona in-formazione”; l’informazione che vuole conoscere, capire e che, quando serve, è capace di “fare nomi e cognomi”.

In queste poche si racchiude la storia di Telejato, piccola tv di Partinico, in provincia di Palermo. Una storia che è anche “la storia” dell’intera famiglia Maniàci che Letizia racconta nel libro “Mai chiudere gli occhi” (Rizzoli) con cui nel 2005 ha vinto il premio giornalistico Maria Grazia Cutuli. Una storia scritta, senza esaltazione né protagonismo, per dire che vale la pena lottare per la ricerca della verità, per appropriarsi del diritto alla parola, per aiutare la giustizia, per mostrare l’orgoglio di appartenere ad una terra difficile, ma bella. Spesso matrigna e, allo stesso tempo, mai sostituibile.



Da quanti anni Telejato è della famiglia Maniaci?

Dal 1999, io avevo sedici anni e ho incominciato a lavorarci quasi per gioco. Ho imparato in fretta ciò che serviva; ciò che era indispensabile per vedere, documentare, raccontare la verità. Ho lasciato gli studi per “entrare a pieno titolo” nell’avventura Telejato. Da allora tutto nella mia vita avviene “ad alta velocità”. In fretta ho dovuto imparare tutto; dalle ri-prese alla regia; dalla regia alla messa in onda. Solo dall’anno scorso faccio il montaggio.



Chi guarda Telejato?

La guardano in molti, pare anche i mafiosi. E’ una televisione che “non fa sconti” e che ar-riva sul posto dove avvengono i fatti, spesso prima di altri. Sono gli stessi cittadini che ci avvisano; invece di telefonare alla polizia o ai carabinieri, telefonano a Telejato. E’ in que-sta fiducia che troviamo la forza di prendere la telecamera e continuare a raccontare ciò che accade intorno a noi.



Com’è il vostro telegiornale?

Sicuramente è un prodotto anomalo nel panorama dei tg. Prima di tutto perché dura più di due ore e poi perché interpreta pienamente il diritto di cronaca. Di una cronaca che si basa su fatti, su nomi e cognomi. Un appuntamento quotidiano con la libera informazione che, in questi anni, è diventato un luogo di dialogo e di incontro con tanta gente che ci segue da casa, ma anche con i tanti amici che arrivano a Telejato per un saluto e che, inevitabilmente, vengono coinvolti nella conduzione del telegiornale. Un’esperienza che dappri-ma li spaventa, ma che poi diventa il cemento di amicizie.



Perché Telejato è una televisione antimafia?

Perché realizza un telegiornale “cha fa i nomi e i cognomi” e che cerca di affermare il dirit-to, prima che il dovere, a praticare la libertà di espressione. Da anni siamo minacciati, ma possiamo contare su tanti amici; soprattutto sui giovani che vengono a trovarci per qual-che breve stage, ma che finiscono per diventare amici, anzi “fratelli adottivi” della nostra piccola televisione. E come fratelli, ce li ritroviamo spesso accanto; appena possono, la-sciano i luoghi di studio, nelle diverse regioni italiane, per tornare a Telejato a “dare una mano”. Anche da loro ci viene la forza per continuare.



Che cosa significa per voi fare un tg con “nomi e cognomi”?

Insulti, minacce, ansia e paura. Hanno incendiato la nostra macchina. Non è facile convi-vere con queste cose, ma se dovessimo vivere con il timore non potremmo fare più questo lavoro. E invece continuiamo. E poi ci sono anche tante soddisfazioni. Come il Premio in-ternazionale “Joe Petrosino” assegnato a mio padre, Pino Maniàci, per il suo lavoro di di-rettore di Telejato!



Che cos’è per te la telecamera?

E’ lo strumento che mi aiuta a vedere, a documentare, a raccontare. Non amo parlare. Amo invece raccontare ciò che vedo con le immagini; penso che siano più efficaci di qualunque parola. In questi anni, sotto l’occhio della mia telecamera, ho visto passare latitanti come Provenzano, Lo Piccolo, Raccuglia. Abbiamo ripreso le fasi della loro cattura e con il tg, le abbiamo portate nelle case di tanta gente. E’ questo il lavoro che ho scelto di fare. Informa-zione libera. Informazione basata sulla verità; anche quando la realtà è brutta.



Di che cosa vive Telejato?


Di poco; anzi di pochissimo. Affrontiamo grandi difficoltà, anche di tipo economico. Vi-viamo solo con le risorse della pubblicità. Quella di pochi, coraggiosi imprenditori, che stanno dalla parte della legalità e della lotta alla mafia. Per noi un piccolo guasto tecnico può rappresentare un autentico dramma. Non abbiamo risorse che ci consentano di far fronte ai bisogni dell’assistenza, né tantomeno del rinnovo delle macchine. Telejato è il progetto di vita dell’intera famiglia Maniàci.





(21 giugno 2010)

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