E' necessario un cessate il fuoco per ripristinare la copertura vaccinale della striscia di Gaza perchè il virus "non vede i confini, né geografici né etnici e non basta vaccinare i soldati"
C’era una volta un ragazzo di New York, figlio di immigrati dalla Lituania, ebreo. Viveva a East Harlem e poi nel Bronx. Grazie alla sua eccellenza negli studi, fa il salto sociale: si laurea in medicina e scopre il vaccino della poliomielite. Quando nel 1955 gli chiesero chi era il proprietario del brevetto, rispose; “Be’, tutti direi. Non c’è brevetto. Si può brevettare il sole?”. Si trattava di Jonas Salk (1914-1995).
La ricerca sulla poliomielite era allora al centro della scienza medica del secondo dopoguerra, poiché le epidemie si susseguivano in tutti i continenti e colpivano un gran numero di bambini, spesso con esiti mortali. Ottanta milioni di statunitensi avevano contribuito ai fondi per queste ricerche.
Anche un altro medico ebreo, Albert Sabin (Abram Saberstein, 1906-1993) emigrato negli Stati Uniti dal ghetto di Bialystock in Polonia nel 1921, si dedicò al vaccino della poliomielite. Propose un nuovo vaccino da somministrare per via orale. Anch’egli non lo brevettò e lo considerò un regalo per tutti i bambini del mondo. Coerentemente, rese disponibile il vaccino in Unione Sovietica in piena guerra fredda.
Questi due grandi medici avevano vissuto l’umiliazione e persecuzione dell’odio razziale e la deprivazione di immigrati emarginati, avevano attraversato la seconda guerra mondiale, subito lutti a causa della Shoah. Eppure la loro etica non ne era stata intaccata. Anzi, si potrebbe dire che proprio la loro cultura di origine, il senso della relatività delle cose umane e il pragmatismo scientifico aveva permesso loro di interpretare l’esperienza personale in chiave universale, di accedere alla grandezza non solo dei risultati, ma anche della loro interpretazione, del loro senso. Come dei grandi artisti, volevano anzitutto partecipare al progresso dell’umanità.
Ambedue questi grandi ebrei sono morti. Sarebbe stato bello ascoltarli ora. Ma è meglio per loro, si sono risparmiati la peggiore umiliazione, quella di vedere lo Stato Ebraico esporre al virus della poliomielite, attualmente presente nell’acqua di Gaza, una popolazione sotto il suo controllo. Ed è contro una popolazione per metà composta da bambini e ragazzi, già indeboliti dalla sete, dalla fame, dai bombardamenti, che quel virus tremendo diventa un’arma di guerra.
In questi giorni un gruppo di medici d’Israele ha ricordato ai suoi governanti che il virus non vede i confini, né geografici né etnici, e che non basta vaccinare i soldati, è necessario un cessate il fuoco per ripristinare la copertura vaccinale della striscia di Gaza come condizione necessaria perché tutto Israele sia fuori pericolo. Attraverso la medicina, hanno rammentato che la popolazione di Gaza appartiene alla stessa specie Homo sapiens dei cittadini di Israele e, di conseguenza, che l’immunità giuridica, politica ed etica sperimentata dallo Stato d’Israele non garantisce i suoi cittadini contro i parassiti intracellulari dell’Homo sapiens.
Giovanna Cifoletti
Docente all’Ecole des hautes études en sciences sociales, Parigi
Disarmistiesigenti, Milano
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