Domenica, 21/03/2010 - Nella casa di Napoli, ho scovato uno dei libri di Vittorio Foa: “Passaggi”, oggi purtroppo fuori commercio: una raccolta di riflessioni sparse, scritte nel corso degli anni Novanta. Nella mia vita un po’ frettolosa, la formula “zibaldone” mi attrae sempre: anche se ho solo qualche ora per leggere, la fatica non è mai sprecata, tanto più se si tratta di Vittorio Foa, che ha sempre qualche cosa che mi fa pensare. Mi viene spontaneo pensare che, se gli occhi glielo avessero permesso, oggi Vittorio avrebbe tenuto un blog.
Cito qui alcuni frammenti che voglio “registrare”.
Il primo, più personale (e lui non si risparmiava, esponendosi con molta sincerità), riguarda la sua fragilità dopo la separazione dalla moglie Lisa. Negli anni precedenti, tutte le estati, anche se il matrimonio già vacillava, andavano a Londra, ognuno a fare le sue ricerche in biblioteca, incontrandosi la sera. Dopo la rottura, Foa confessa di non essere stato capace per anni di rimettere piede a Londra.
Più avanti nel libro ammette di non aver mai tentato - nei lunghi anni di prigionia - di fuggire da Regina Coeli (anche perché tutti lo ritenevano impossibile), al contrario della moglie, che era riuscita a sfuggire alla banda Koch. Per uno che è sempre menzionato come “padre nobile della sinistra” nelle formulette facili dei giornalisti, è evidente l’allergia ai piedistalli in cui lo vogliono costringere. Sulla sua vita in prigione, e sul racconto antiretorico che ne faceva, linko qui un articolo di Sergio Romano.
Su un terreno più propriamente “politico”, alla voce “elezioni”, Foa condanna radicalmente l’abitudine dei partiti (tutti) a dire in campagna elettorale solo quello che l’elettorato vuole sentirsi dire, assecondandone i sentimenti peggiori. Per paura di perdere voti, si rinuncia a favorire la crescita del senso civico.
Infine, a proposito della legge che riconosceva il diritto di voto alle donne, nel 1945, Foa ricorda che fu approvata come cosa ormai “ovvia”, ma con il contributo attivo della DC, ancor più che della sinistra. La storia si ripete oggi con il voto degli immigrati, sul quale sembra spendersi molto Fini, e un po' meno la sinistra.
In entrambi i casi, prima per le donne e oggi per gli stranieri, la destra ha avuto e avrà un beneficio elettorale: gli stranieri, in prevalenza provenienti dall’est, si portano dietro una radicata diffidenza per chi gli ricorda il passato comunista; ma ciò non cancella il merito di portare avanti una battaglia giusta.
Forse il nostro compito è di far diventare “ovvi” per tutti, alcuni obiettivi che una volta erano solo “nostri”. Dopo tutto, è quello che - tanto tempo fa - chiamavamo “egemonia”.
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